giovedì 1 ottobre 2009

PROGRESSO E RIVOLUZIONE

Ero a cena con alcuni amici e si discuteva della situazione politica italiana alla luce degli ultimi avvenimenti su alcuni dei quali, per la verità, non avevamo lo stesso giudizio seppur con distinguo non necessariamente dolorosi.

Nel parlare, cenando e razionandoci il vino (maledetto alcooltest), abbiamo spaziato sul concetto di diritto e dovere, di libertà compresa quella d’informazione, sulla posizione della chiesa cattolica (l’ex direttore di Avvenire; le posizione contrastanti, almeno così unanimemente ci appaiono, tra Conferenza Episcopale italiana e Segreteria di Stato; il recente rendez-vous del papa e del presidente del consiglio italiano all’aeroporto di Ciampino; eccetera) e su quest’aria di dittatura incombente e minacciosa.


E ci siamo chiesti cosa sarebbe possibile fare, oggi e con questa situazione, per fare rientrare questa ormai ammutolita e spaventata società almeno in una logica di dialogo.
Ovviamente ancora nessuna risposta adeguata (ma ne riparleremo, non demordo) poiché non basta affermare che manca l’opposizione o che chi ha in mano le televisioni governa il cervello della gente.


Uno di noi commensali, alla fine della cena, ci invita a rileggere (per me leggere) un passo dell’enciclica Populorum Progressio.
Debbo confessare che, pur avendo bonariamente un po’ canzonato il “dotto” amico (poteva citarmi Gramsci o Marx o il Che!), la curiosità l’ha fatta da padrona e, rientrato a casa ormai a notte fonda, ho cercato sul sito vaticano in internet l’enciclica di Paolo VI e ho trovato il brano che ho letto rapportandolo, ovviamente, alla situazione italiana attuale: sono rimasto sorpreso dell’attualità dei contenuti (è stata pubblicata nel 1967) e della nettezza del giudizio.


Ve ne faccio partecipi con un “copia/incolla” e ho evidenziato ciò che più mi ha colpito (specialmente il "salvo" al punti 31):


“… L'urgenza dell'opera da compiere
29. Bisogna affrettarsi: troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che l'opera da svolgere progredisca armonicamente, pena la rottura di equilibri indispensabili. Una riforma agraria improvvisata può fallire al suo scopo. Una industrializzazione precipitosa può dissestare strutture ancora necessarie e generare miserie sociali che costituirebbero un passo indietro dal punto di vista dei valori umani.


Tentazione della violenza
30. Si danno, certo, situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana.


Rivoluzione
31. E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.


Riforma
32. Ma desideriamo che il nostro pensiero venga rettamente inteso: la situazione presente dev'essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie, che essa comporta, combattute e vinte. Lo sviluppo esige trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere intraprese senza indugio. A ciascuno l'assumersi generosamente la sua parte, soprattutto a quelli che per la loro educazione, la loro situazione, il loro potere si trovano ad avere grandi possibilità d'azione. Pagando esemplarmente di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi dei Nostri fratelli nell'episcopato. Risponderanno così all'attesa degli uomini e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è «il fermento evangelico che ha suscitato e suscita nel cuore umano un'esigenza incoercibile di dignità» …”



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