mercoledì 30 dicembre 2009

VUOI FESTEGGIARE IL LATITANTE? TU QUOQUE?



Ritengo non solo giusto ma doveroso ricordare e onorare pubblicamente e istituzionalmente i nostri eroi, i padri della patria, gli statisti che hanno lavorato per il bene di tutti, i cittadini che si sono distinti per atti di vera umanità, tutti coloro che hanno sacrificato la vita per la libertà di ciascuno di noi. Occorre ricordare e onorare senza distinguo di colore politico o di colore di pelle, senza alcun distinguo.
Ora cosa racconterò ai miei nipoti? Già ho dovuto spiegare (ma mi rendo conto di non esserci riuscito) dell’anomalia tutta italiana di un presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, coinvolto in questioni di sesso, ritenuto da sua moglie un malato e un pedofilo, che è accusato di corruzione e di usare il potere, conferitogli dai cittadini, pro domo sua.
Adesso leggo che lo Stato italiano è in procinto di onorare Bettino Craxi a dieci anni dalla sua morte. Alla notizia ho fatto un balzo sulla sedia: è lo stesso Bettino, capo del governo, condannato a 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo Eni-Sai?
È lo stesso che è stato condannato a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le mazzette della metropolitana milanese?
E’ lo stesso che avrebbe avuto altre pene che sono state estinte solo a causa della sua morte?
È lo stesso che disse ai giudici, pressappoco, che era un ladro ma che come lui ce ne sono tanti altri in parlamento?

È ancora lui quello che, dimenticandosi di essere uno statista, anziché affrontare il giudizio si è reso latitante (la latitanza non è la stessa cosa dell’esilio o dell’auto-esilio) rifugiandosi, poverino, ad Hammamet in Tunisia?
Sì, è lo stesso.
Questo stinco di santo laico sarà onorato al Senato, dove è quasi certo che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo ricorderà rivalutandone la figura di statista, indicando così, a tutti i cittadini italiani, una nuova verità: corrotto = statista, corrotto = esempio per il paese.
Verrà pure festeggiato e ricordato dal sindaco di Milano Letizia Moratti (in accordo, ovviamente, con Silvio e il ciellino Roberto Formigoni) che dedicherà a “un uomo che ha dato una svolta al paese” una via o un parco.
Sarebbero cose dell’altro mondo se non le paragonassimo a ciò che già succede da quindici anni in Italia. Non mi pare ci sia molta differenza tra il festeggiare il decennale della morte di un latitante corrotto e corruttore e il mantenere ancora al vertice del governo un suo allievo che, nel frattempo ha perfezionato lo stile del suo maestro introducendo nel vocabolario politico persino le categorie di buono, santo, martire (se fossi in Benedetto XVI, incomincerei a essere preoccupato: può essere che a breve diventi vicario di Papi, con grande gioia del cardinal Tarcisio Bertone).


In questo squallore indecente, in questa morte della coscienza, in questo scellerato capovolgimento della moralità, nell’imposizione di giudicare il male come bene e il bene come male, in tutto questo non ho (oggi) parole da dire. Chiedo solamente al presidente Napolitano, con tutto il rispetto che mi è possibile, con un filo di voce ma con una rabbia incontenibile, di non prestarsi, presenziando alle celebrazioni per Craxi, alla legalizzazione del malaffare e della corruzione e, in definitiva, alla legalizzazione dell’antistato.



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lunedì 28 dicembre 2009

DELLA PANDEMIA D’INFLUENZA “SUINA” RESTANO SOLO I SUINI

La pandemia d’influenza “suina”, la misteriosa H1N1, quella che potenzialmente avrebbe decimato la popolazione mondiale, non ci preoccupa più o, perlomeno, al governo non interessa più; infatti, non la si sente più nemmeno menzionare: al posto dell’influenza si parla, in Italia, dell’amore di Berlusconi, dell’amore di Berlusconi, dell’amore di Berlusconi, dell’amore di Berlusconi e della fabbrica dell’odio, della fabbrica dell’odio, della fabbrica dell’odio, della fabbrica dell’odio. Un patetico e ripugnante disco rotto.
Mi prende il sospetto che la questione dell’influenza sia tutta una bufala, una montatura, non più interessante poiché ciò che si doveva fare è già stato fatto: le case farmaceutiche hanno già incassato i miliardi per i milioni di vaccini venduti allo stato e utilizzati in minima quantità.

Il ministro della salute, Ferruccio Fazio, che proviene dall’Ospedale S.Raffaele di Milano fondato da don Luigi Verzé, intimo amico di Berluska, ci ha fornito qualche dato aggiornato al 22 dicembre 2009:
1. 820.456 persone vaccinate;
2. 7.423.851 dosi di vaccino distribuite;
3. 3.872.000 casi stimati d’influenza dall'inizio della pandemia;
4. 188 vittime correlate alla nuova influenza A;
5. 0,0048 la percentuale delle vittime in rapporto al totale dei malati di nuova influenza;
6. 452 i casi che hanno necessitato di assistenza respiratoria;
7. 0,011 percentuale dei casi che necessitano di assistenza respiratoria in rapporto al totale dei malati.
Dati 1 e 2 -Come si può notare ci sono 6.603.395 dosi di vaccino non utilizzate, quasi il 90% delle dosi distribuite; non c’è dato sapere se il ministero ha anche delle dosi acquistate e non distribuite: se così fosse, la questione sarebbe un po’ più complessa.
Dato 3 – Con quali parametri e dati si è costruita questa stima? Hanno incluso anche i sintomi di raffreddore?
Dati 4 e 5 – La percentuale delle vittime, 0,0048%, è miserevole (pur essendo sempre un dispiacere) in confronto al consueto numero di vittime per l’influenza stagionale che si aggira attorno al 2%.
Dati 6 e 7 – Come sopra.
Con questi dati ufficiali, la questione non è più un sospetto, diventa una convinzione: hanno “ingrassato”, con i soldi prelevati dalle nostre tasche, le case farmaceutiche e i loro distributori i quali hanno trovato la loro soluzione alla crisi economica mondiale.

In Italia chi ha costruito questo mostro? chi ha guadagnato dall’allarme pandemia? chi ha diffuso un così massiccio allarme e con quale scopo? si voleva forse tacitare le questioni Noemi, escort, processi, decreti e decretini?
Se sapessi come fare e se ne avessi la forza, e anche il coraggio visti i Maroni Roberti che ci sono in giro di questi tempi, costringerei il governo italiano a fare nomi e cognomi anche, se ce ne sono, di quelle persone che ne hanno beneficato pur essendo in conflitto d’interessi perché imparentati con membri del governo. Farei tutto questo, però, chiedendo la presenza di osservatori dell’ONU per evitare di incocciare, io, non solo con il souvenir del duomo ma con il duomo vero.



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domenica 27 dicembre 2009

IL PARTITO DELL’AMORE … A PAGAMENTO



Al tempo del Partito Unico dell’Amore (PUdA), non quello di Moana Pozzi ma quello di Papicicciolino, saranno condannate alla pena capitale, per lesa maestà, almeno tre associazioni di consumatori: la FEDERCONSUMATORI, l’ADUSBEF (Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari Finanziari Assicuratici Postali) e l’ADOC (Associazione nazionale per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori).
Vi chiederete, ancora mollemente distesi sul divano dopo gli stravizi natalizi, che cosa mai avranno combinato per meritarsi tale condanna, che tipo di souvenir hanno lanciato.
Non hanno combinato nulla di particolare e non hanno lanciato nessun corpo contundente, hanno fatto solamente dei conti, come richiede il loro mestiere, e senza troppa fatica hanno incominciato a leggersi la Finanziaria, quella approvata per decreto, quella che ha impedito qualunque discussione e modifica.

Sia Giulio Tremonti che il nostro dio dell’amore, Silvio Berlusconi, hanno giurato e spergiurato (spergiurato lo aggiungo io che non faccio parte del PUdA e quindi sono un sospettato e suscettibile di esilio o di morte rapida, ovviamente tutto fatto con amore) che il decreto licenziato non aumenta le tasse. Eccovi alcuni conti fatti dalle tre associazioni sopra nominate.
Ogni famiglia avrà, per grazia ricevuta, un carico annuo in più di 120,00 euro e inoltre i seguenti rincari a base annua così calcolati:
• € 30,00 per il gas;
• € 130,00 per l’assicurazione auto;
• € 18,00 per l’acqua;
• € 35,00 per i rifiuti solidi urbani;
• € 30.00 per i servizi bancari;
• € 80,00 per i mutui bancari;
• € 65,00 per i biglietti del treno;
• € 90,00 per i carburanti.
A tutto questo vanno aggiunti, come ciliegina sulla torta, € 3,00 a passeggero per ogni biglietto aereo, € 103,30 per ogni ricorso in cassazione intentato dai lavoratori licenziati e € 38,00 per ogni ricorso contro le multe per alta velocità.

Hanno ragione il gatto e la volpe governativi: non c’è, infatti, nessun aumento di tasse, basta non usare il gas per cucinare, non utilizzare l’auto (e risparmiare così sia sull’assicurazione che sulla benzina), non bere e non farsi il bagno (piaci cosi come sei), non produrre rifiuti (e se li produci, potresti mangiarli con un ulteriore risparmio), non tenere un conto corrente bancario (non ti serve più, siamo nella società dell’amore) e smettere di pagare il mutuo casa (sotto i ponti c’è ancora spazio), non andare in treno, non ricorrere più al TAR o al giudice di pace per ogni nefandezza e sorridere facendo attenzione alla paresi facciale.
Chi ha fatto questi conti, e chi ci crede come me, non collabora alla nuova civiltà dell’amore, anzi, alimenta, per contrasto, le fabbriche di menzogne e allora, pur ancora sfregiato, il nostro premier telefona al TG1 (quello appaltato ad Augusto Minzolini per intenderci) e dice, papale papale, di aver “pensato davvero che dobbiamo contrastare tutte queste fabbriche di menzogne, di estremismo e anche di odio”. Questo ci condanna a morte, imputati di non amare il nostro papiminchia.
Ma come si fa ad amare un tale governante, definito da più parti (e non solo in Italia) mafioso, piduista, puttaniere, inciucista, corruttore, che pur di non presentarsi in giudizio cambia le leggi, che da quando è in politica ha fatto solo i suoi interessi, che usa tutto per la sua immagine. Persino l’aggressione. Lui, l’aggredito, ha perdonato l’aggressore (e qui tutti ad applaudire a questa reincarnazione di gesù, il periodo natalizio lo favorisce) ma sussurra (ed evidentemente nessuno lo sente o lo vuol sentire) che spetta alla giustizia fare il suo corso e che lo faccia bene e con durezza: anche se il tiratore di statuette è uno psicolabile, bisogna dare il buon esempio.
Che differenza di stile, lo devo ammettere, quella del papa Benedetto XVI che attraverso il portavoce della sala stampa vaticana, padre Lombardi, ci dice che la donna che lo ha aggredito all’interno della basilica vaticana non deve finire in carcere e tanto meno essere sottoposta a procedimento giudiziario ma deve essere affidata alle cure di medici e strutture che si occupano di malattie mentali. Già, il papa. Lui è da sempre che parla di Amore non come il papi (non penso sia solo colpa della vocale finale papA-papI) che lo ha sempre praticato, ma nelle sue ville. Mi viene il dubbio che alla parola “amore” si possano dare vari significati.
Per il papa (ma anche per molti uomini, credenti e no), la parola amore, è spiegata bene nel vangelo di Giovanni: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.

Siete certi che Berlusconi intenda la stessa cosa?



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giovedì 24 dicembre 2009

UNA LETTERINA DALLA RESISTENZA

Voglio augurarvi buon natale e lo faccio prendendo in prestito una letterina a Gesù bambino scritta da un politico italiano, Antonio Di Pietro.
Come avete potuto constatare da quanto solitamente scrivo, non sono molto affezionato a questo personaggio un po’ folk della politica italiana, tuttavia il contenuto della letterina, anch’essa un po’ folk, ha incontrato una mia autonoma riflessione di ormai fine anno. Ha coinciso con la seria inquietudine sulla china politico-morale-culturale che l’Italia che comanda ha preso e che gli italiani subiscono; con la gravissima preoccupazione per le conseguenze degli inciuci che si profilano all’orizzonte; con il segnale chiaro ed evidente che ora l’obiettivo comune di centrodestra e centrosinistra, alleatissimi dopo il lancio del duomo, è quello di far saltare l’Italia dei Valori come hanno già fatto per altri partiti (quelli della sinistra) escludendoli con una vera porcata di legge elettorale dal parlamento. L’Italia che comanda, che per schematizzare individuo nel duce Silvio Berlusconi da una parte e ora nell’assente Pierluigi Bersani (detto dalemino l’inciucino) dall’altra, non può sopportare una voce che dissente e quindi la eliminano.
La proposta della lettura di questa letterina di natale vuole solo portare l’attenzione di tutti noi sulla necessità di un’iniziativa politica e sociale forte, democratica, popolare per arrestare questa deriva pericolosa che ci sta portando inesorabilmente e drammaticamente verso una nuova forma di fascismo.


Caro Gesù Bambino,
fai in modo che l’anno prossimo torni un po’ di libertà d’informazione e di democrazia partecipata nel nostro Paese.
Da più parti dicono che nel nostro Paese c’è democrazia, c’è confronto, c’è dialogo. Anzi, adesso dicono che bisogna riaprire la stagione del dialogo.
E se la prendono con noi perché a questo tavolo del dialogo non ci sediamo.Ma, caro Gesù Bambino, tu lo sai bene com’è fatto il diavolo. Tu lo sai bene che non ci si può fidare di lui. Tu lo sai bene che a un certo punto l’hai dovuto pure mandare via dal Paradiso per relegarlo all’inferno.
Perché con alcune persone, soprattutto con il diavolo, non si può dialogare.
Perché si monta la testa. Pensa! Voleva perfino prendere il tuo posto! Capisci che cosa voleva fare il diavolo?
Nel nostro Paese c’è “un diavolo” al Governo che pensa di usare le istituzioni solo per farsi gli affari suoi. Che vuole addirittura cambiare la Costituzione perché nella Carta non è previsto che lui non può essere processato.
Nella Costituzione c’è scritto, invece, che “tutti devono essere uguali di fronte alla legge” e che nessuno deve commettere reati.
Invece questo “diavolo” vuole che nella nostra Costituzione ci sia scritto che alcune persone (lui!) non possono essere processate, non che non possono commettere reati, intendiamoci.
Però lui questo lo chiama dialogo. E, come tu sai, caro Gesù Bambino, capita spesso che qualcuno abbocchi e dica: "Vabbé andiamo a dialogare".
Te lo immagini? Ricordi la storia di cappuccetto rosso? Avrebbe mai potuto dialogare con il lupo cattivo?
Ecco la preghiera che Ti faccio, caro Gesù Bambino: l’anno prossimo mettici in condizione di liberarci politicamente, attraverso l’esercizio democratico del voto, di questo diavolo al Governo.
Soprattutto mettici in condizione di far comprendere ai cittadini italiani che non devono cadere nel trabocchetto dando il loro voto di fiducia a persone che fanno credere di fare il loro interesse, ma che in realtà fanno solo gli interessi propri.
Gesù Bambino apri gli occhi a coloro che, invece di fare opposizione, decidono di fare inciuci con questa maggioranza.
Tu lo sai, Gesù Bambino, che il diavolo non porta da nessuna parte. Non si va in nessun luogo se entrambe le parti non sono mosse da buone intenzioni. E Tu sai meglio di me che nel Governo Berlusconi non ci sono buone intenzioni. Ci sono soltanto intenzioni di una massa di lobbisti, massonica, che utilizza le istituzioni per farsi gli affari propri.
Ecco, questa è la letterina di Natale che consegno a Te, Gesù Bambino.
Apri gli occhi agli italiani prima che sia troppo tardi.
Tuo affezionatissimo, Antonio Di Pietro



Buon Natale
a quelli che non arrivano a fine mese;
a quelli che hanno perso il posto di lavoro;
a quelli che perderanno il posto di lavoro;
agli operai fiat di Termini Imerese;
agli aquilani in attesa della casa promessa;
ai messinesi franati che non hanno ricevuto nessuna promessa;
a quelli che devono fare i conti con i mastini di Equitalia;
a quelli che devono spiegare ai figli che abbiamo tutti gli stessi diritti;
a quelli che vanno in galera per aver rubato, per fame, una mela;
a quelli che a causa di uno si vedranno scippati di una sentenza del tribunale;
a quelli che hanno pagato le tasse mentre i delinquenti con lo “scudo” non le pagano;
a quelli che devono portare pazienza mentre i politici ingrassano;
a quelli che difendono l’innocenza dei bambini;
a quelli che credono di essere senza speranza;
a quelli che non ripongono la loro speranza nell’uomo;
a quelli che soffrono le calunnie del potere;
a quelli che soffrono per le malattie;
a quelli che soffrono perché sono soli;
a quelli che muoiono per la nostra cattiveria;
a quelli che vogliono una società umana e non questa;
a quelli che sono buoni non solo per natale;
a quelli che ...
Buon Natale
bogar


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martedì 22 dicembre 2009

LA MINIATURA DEL DUOMO DI MILANO NON È IL WORLD TRADE CENTER


C’è chi vorrebbe paragonare l’11 settembre 2001 a New York all’aggressione a Silvio Berlusconi il 13 dicembre 2009 a Milano.
Folle! Non solo chi ha tirato il souvenir ma anche chi tenta questo accostamento.
Certo, c’è una cosa che si prefigura uguale ed è cogliere l’occasione per restringere le libertà fondamentali e per delegittimare qualsiasi forma di dissenso. Non sono ipotizzabili altre similitudini ma da questo si capisce cosa legava Silvio Berlusconi a George W. Bush: un’idea criminale, l’idea dell’impero.
Non credo di essere, dicendo questo, un fomentatore dell’odio (e in quanto tale messo alla gogna), soltanto dico chiaramente il mio dissenso democratico dalla politica di questo imprenditore meneghino che ci sta imponendo il culto di Cesare, l’imperatore, obbligandoci ad adorarlo come un dio se si vuol vivere con i diritti che la condizione di cittadino italiano dovrebbe riservare normalmente. Non è cosa scontata, Berlusconi opera come se gli italiani fossero solo coloro che lo hanno votato e gli altri, invece, letame.
Dopo il lancio del duomo, il ministro Roberto Maroni (quello a cui è affidato il compito dell’incolumità del presidente del consiglio e che ha miseramente fallito ma si è giustificato benissimo), per non perdere tempo e invece di darsi per penitenza le martellate sugli zebedei (come sarebbe stato giusto) ha deciso di proporre al parlamento italiano un disegno di legge per punire il web e i vari social forum rei di non aver preso troppo sul serio, a detta dei “pretoriani” dell’imperatore, la portata dell’aggressione; e sta decidendo quali provvedimenti prendere per rendere più sicure le piazze ospitanti le manifestazioni, cioè come impedire, possibilmente con l’imposizione di balzelli e attraverso la burocrazia, l’uso delle piazze per manifestazioni politiche e sindacali promosse dall’opposizione sia essa istituzionale o sociale.
Mi chiedo perché non è stato così solerte anche quando sono sorti in internet gruppi a sostegno della mafia o vomitanti ingiurie alla memoria di Falcone e Borsellino o inneggianti all’olocausto e all’odio razziale o incitando alla violenza contro i gay o i rom; e perché non è intervenuto quando è stato recentemente scoperto il sito del Ku Klux Klan in Italia o quando è stato scoperto sul web il giochino razzista contro gli immigrati di quello smidollato del figlio dell’ancor più smidollato capo vichingo Umberto Bossi? Ha forse qualche simpatia per costoro, sono funzionali al progetto suo e del suo capo?

Certo, le parole del “miracolato”, come lo hanno immediatamente definito i suoi (la prossima volta lo chiameranno gesù), nonostante il ripetere pateticamente e pro domo sua la parola amore, non fanno fare nessun passo avanti nella ricerca del dialogo: “Credo che a tutti sia chiaro che se di un presidente del Consiglio si dice che è un corruttore di minorenni, un corruttore di testimoni, uno che uccide la libertà di stampa, che è un mafioso o addirittura uno stragista, un tiranno, è chiaro che in qualche mente labile, e purtroppo ce ne sono in giro parecchie, possa sorgere il convincimento che essere tirannicidi e diventarlo vuol dire essere degli eroi nazionali e fare il bene della propria patria e dei propri concittadini e quindi acquisire un merito e una gloria importante”.
Il pensiero di fare un mea culpa, anche solo sottovoce, non lo sfiora minimamente. La sua ostinazione a pensare che il male si annidi solamente negli altri non omologati al suo pensiero, oltre che dimostrare la sua psicopatia, non permette una riappacificazione del paese. È lui e non altri il dispensatore di odio, a piene mani, scientificamente e sistematicamente: quante parole cariche di disprezzo il presidente e i suoi sgherri hanno seminato nel paese! L’opposizione è solo “miseria, odio e morte”; la lega minaccia di invadere le piazze con i fucili; il bello addormentato Renato Brunetta ha dichiarato di desiderare con forza la morte violenta degli oppositori; gli elettori di sinistra sono tutti “coglioni”; eccetera.

La pacificazione dell’Italia non può e non deve essere un atto unilaterale di una metà del paese, di quella che non vota e non voterà mai il papiminchia; non può essere l’accettazione senza se e senza ma del verbo berlusconiano.



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domenica 20 dicembre 2009

MASSIMO D’ALEMA, LO SCUDIERO DI SILVIO


Oggi non scrivo di Silvio Berlusconi, lo faccio solo indirettamente, e questo è già un sollievo sia per me che per voi.
Parlo invece di un vecchio e fidato fan di Silvio: Massimo D’Alema. Vecchio fan? Non mi sono bevuto il cervello e ve lo voglio dimostrare.
Dice il nostro Massimone al Corrierone: “La riforma della giustizia, per renderla migliore per tutti i cittadini, ci interessa e abbiamo le nostre proposte. Viceversa, quelle per fermare i processi a Berlusconi non sono riforme e non si può certo pretendere che l’opposizione le faccia proprie. Se per evitare il suo processo devono liberare centinaia di imputati di gravi reati, è quasi meglio che facciano una leggina ad personam per limitare il danno all’ordinamento e alla sicurezza dei cittadini”.
La traduzione è affidata a Michele Vietti parlamentare dell’UDC: “Un testo-ponte, per l’appunto, che dichiarandolo apertamente, costruisce una moratoria di 18 mesi che permetta al premier di svolgere serenamente le sue funzioni, e al Parlamento di fare, nel frattempo, una legge costituzionale”. E alla domanda come si fa, lo stesso risponde: “Con il legittimo impedimento a comparire davanti a un tribunale”. Più chiaro di così! E l’articolo 3 della Costituzione dove lo mettiamo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”?

Roba da infarto politico: uno dei massimi esponenti del Partito Democratico, ritenuto una delle più brillanti teste pensanti della sinistra italiana, si inventa una scorciatoia, un salvacondotto per tirare fuori dai guai il più indagato dei presidenti del consiglio di tutto il mondo e si fa supportare, con un doppio salto mortale con avvitamento, persino dall’articolo 7 della Costituzione italiana che, per la verità, riguarda i rapporti Stato-Chiesa. Una cosa che mi pare illegale e anticostituzionale.
Un regalo all’opposizione, anzi al capo dell’opposizione, certamente con contropartite reali per D’Alema (e quando dico D’Alema intendo anche parlare di Pierluigi Bersani e di Nicola Latorre, tanto per citarne due), non si spiegherebbe in altro modo la sua solerzia.
Si parla di una prova tecnica d’inciucio. Mi pare che di prova non ci sia più nulla, tant’è che è diventato l’unico rilevante argomento politico in discussione.
Dario Franceschini non ci sta: “Di inciuci che hanno fatto bene non ne ho mai visti uno … non bisogna cercare il terreno più facile per fare delle intese perché così si rischia di spaccare i presupposti e i convincimenti che hanno dato vita al Pd”.
Walter Veltroni, riferendosi alle dichiarazioni di Latorre è caustico: “Mi sorprende che un dirigente del nostro partito dica che Berlusconi deve assolutamente arrivare alla fine della legislatura. Purtroppo se ne vedono di tutti i colori”.
Anna Finocchiaro, invece, ci dice che è preferibile una leggina a una legge ad personam: “D’Alema dice una cosa di buon senso: le leggi ad personam hanno normalmente scassato l’ordinamento. Vogliamo pensare alla Cirielli? O alla Cirami?”.
Pierluigi Bersani, affatto meravigliato delle parole del suo mentore, dichiara: “La considerazione di D’Alema è ovvia perché il processo breve è un’amnistia per i colletti bianchi e quindi aggiunge gravità a una legge ad personam. Detto ciò noi siamo contrari a votare adesso il legittimo impedimento”.
Persino il pacato Pierluigi Castagnetti prende posizione e questo fa capire che lacerazione sta avvenendo all’interno del Partito Democratico. “Non è preferibile alla fine che facciano una leggina ad personam, piuttosto che sfascino tutto l’ordinamento giuridico con il processo breve?”.L’unico giudizio serio mi pare quello di Antonio Di Pietro: “Ci troviamo di fronte agli interessi personali e giudiziari dell’attuale Presidente del Consiglio, che vuole approfittare del suo ruolo e della sua posizione per cambiare le leggi e la Costituzione, solo per non farsi processare. Ma questo l’onorevole D’Alema lo sa meglio di me: le ragioni sono altre e devono assolutamente essere chiarite”.
Una riflessione credo debba essere fatta, senza farsi prendere la mano ma con grande serenità. Non si cancella un problema reale dichiarando che non esiste: il problema rimane nonostante tu non voglia riconoscerlo. E così è anche per i reati: se sono stati commessi esistono, anche se tu li rinneghi o li esorcizzi o li anestetizzi.
Se viene provato che il capo del governo italiano ha commesso dei reati, Berlusconi deve essere giudicato, subito. Come può un popolo accettare di essere governato da chi non rispetta le regole del convivere civile?Se non si riesce democraticamente, attraverso il normale dibattito parlamentare, a fare giustizia dell’ingiustizia, altrettanto democraticamente e pacificamente si dovranno inventare altre occasioni per riportare alla ragione ciò che ragionevole non è: le piazze, i mass-media (quelli non servi del padrone), le attività culturali, la creazione di “isole di libertà” reale, eccetera.
Non vogliamo né una leggina né una legge ad personam. Vogliamo giustizia.

Resistere, resistere, resistere!



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sabato 19 dicembre 2009

PERCHÉ MI ODIANO?




Se Silvio Berlusconi si fosse posto veramente e sinceramente questa domanda (lo dubito fortemente) avrebbe trovato in sé anche la risposta; e se l’avesse accettata, avrebbe deciso di cambiare nella forma e nella sostanza il suo fare politica o meglio il fare i suoi affari utilizzando la politica. Per ora, di questo cambiamento non c’è traccia, anzi, l’abbaiare furioso dei suoi “bravi” contro i “cattivi maestri” rende tutto ancor più drammatico. Il problema è serio e complesso e non lo si può risolvere con una battuta o con uno schioccare di dita.
Raniero La Valle, del quale ho ospitato, in altra occasione, un suo scritto sulla democrazia (lo trovate qui) in un suo articolo apparso il 17 dicembre 2009 sul sito www.liberacittadinanza.it, tenta una risposta alla domanda con una analisi dello stato di salute della società italiana sotto il regime berlusconiano e con una proposta. Ne condivido con voi uno stralcio che, credo, valga la pena leggere con molta attenzione e tentare di inserire anche queste sue riflessioni nella nostra azione sociale e politica quotidiana.


“…Dire che è il clima, non è una risposta. Ma con più cultura, oggi purtroppo dismessa in politica, si potrebbe riconoscere una causa che la ricerca storica e antropologica ha ormai sufficientemente chiarito, e cioè che quando la comunità concentra la sua attenzione su figure fuori dell’ordinario, uomini di Stato, star, vedettes e altri “uomini famosi”, scatta una dinamica di ambivalenza di amore-odio. Questa perciò è una cosa che va maneggiata con cura. I vecchi sovrani che identificavano in sé il corpo stesso del popolo, erano i più predisposti a suscitare sentimenti estremi, ciò di cui si mostrano consapevoli molti degli antichi riti di intronizzazione, che innalzavano il re come se fosse una vittima designata.
Berlusconi ha impostato la sua strategia politica attivando una estrema polarizzazione sulla sua persona, accentuando al massimo la sua differenza: il più ricco, il più bello, il più amato dalle donne e dai capi di Stato stranieri, il miglior governante attraverso tre secoli, il più perseguitato di tutti, il più calunniato, il più innocente, il primo sopra tutti i suoi pari, insomma l’unico. Questo è di per sé un pericolo. Ma questo pericolo è stato enormemente accresciuto dallo sciagurato sistema bipolare che gli apprendisti stregoni hanno voluto a tutti i costi instaurare nel nostro Paese. Perché per quanto in passato la popolarità di Berlusconi possa essere stata grande, in ogni caso essa lasciava fuori dai processi imitativi e identificativi col capo metà dell’Italia. E Berlusconi ha assunto la sua metà come se fosse il tutto: il suo partito l’ha chiamato “popolo”, rendendo gli altri “non popolo”; e su tutto il non popolo, non votante per lui, sono piombate definizioni ed epiteti, intesi come ingiurie, pesanti come il duomo di Milano: mortadelle, coglioni, comunisti, cattocomunisti, sinistre, antitaliani in combutta con lo straniero, giudici rossi, Corte incostituzionale, presidenti della Repubblica partigiani, terroristi mediatici, eccitatori di odio e via esorcizzando.
Questa temeraria e tragica polarizzazione non si esaurisce però nel rapporto con la persona del leader, come avviene nei regimi cesaristi e totalitari, ma nelle condizioni della democrazia investe, divide, corrompe e scuote tutto il Paese. Essa erompe nella protesta degli esclusi, le cui rappresentanze sono state addirittura cacciate dal Parlamento con quel 4 per cento che è tanto piaciuto a Berlusconi e a Veltroni, e dilaga con la sua carica ansiogena attraverso l’anello più debole ed emotivamente labile, che è il sistema mediatico-informativo, sicché dopo la televisione non si riesce più neanche a dormire la notte.
È forse per questo che oggi si vuol correre ai ripari spegnendo la democrazia, dal cambio della Costituzione alla repressione dei cortei, facendo per essi appello alle norme concepite per sedare le risse programmate dalle opposte tifoserie negli stadi per cui ci vorrà, forse, una “tessera del manifestante” concessa dal governo, e agli studenti dalla signora Gelmini.
L’accusa che si fa ai costituenti del 1947 è che essi hanno costruito un eccessivo sistema di garanzie perché spaventati dal fascismo da cui erano appena usciti, cosa che non sarebbe oggi più necessaria: ma avevano ragione loro se, non appena si intaccano le garanzie, l’ombra del fascismo riappare; e anzi nel mondo di oggi il terreno è più fertile di ieri, perché oggi ci sono grandi concentrazioni di ricchezze che ieri non c’erano, e una potenza di fuoco mediatica di cui allora non c’erano neanche i mezzi e il preannuncio.
Dunque è l’intero sistema politico che va ri-formato, con una decisa inversione di tendenza rispetto alla deriva di questi ultimi vent’anni, che ci ha portato fin qui. Questo è il senso della richiesta pressante, che sale dalla società, anche da quella che il 5 dicembre si è tinta di viola, perché le forze democratiche si riuniscano in una alleanza o “costellazione democratica” che si assuma il compito di vincere le elezioni, ripristinare la pace e salvare la Repubblica.
L’accusa di voler così rifare il CLN o riprodurre le ammucchiate senza altro cemento che l’antiberlusconismo, è stantia e radicalmente infondata. La chiusura dell’esperienza Berlusconi - che gli stessi suoi amici ormai dovrebbero perorare - non significa tanto rimuovere una persona che la logica del sistema ha reso vittima catalizzatore e signore del conflitto, ma significa rovesciare la logica dell’attuale sistema restituendogli piena agibilità democratica, nonché liberare e nello stesso tempo regolare il conflitto, riportandolo nei parametri civili delle necessarie lotte sociali, sindacali e politiche.Per questo insistiamo a dire che la grande alleanza democratica per la difesa del costituzionalismo e la fondazione di una democrazia pluralista, non sospende la lotta per la giustizia sociale, il lavoro, l’equità fiscale, la sicurezza previdenziale e sanitaria, i beni comuni; né l’alleanza politica che l’attuale legge elettorale, madre di tutte le storture, impone che sia estesa a tutte le forze democratiche alternative alla destra, deve interamente tradursi in una coalizione di governo; ciò naturalmente a condizione che tra le due alleanze, quella politica più larga e quella esecutiva più ristretta, siano stabiliti patti chiari e leali, non di potere, che garantiscano da un lato l’identità e il radicamento sociale di ogni forza politica, dall’altro la stabilità e la linearità dell’azione di governo.
Ciò è perfettamente possibile solo che si tenga conto che nell’emergenza si è meno liberi che nella situazione di normalità: quella normalità democratica a cui appunto è necessario tornare.”.



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venerdì 18 dicembre 2009

MI SONO SBAGLIATO: TU RENDI INUTILE ANCHE IL TUO “DOLORE”

Mi rimarranno due cose come ricordo di questi giorni: l’odio di pochi e l’amore di tanti, tantissimi, italiani. Agli uni e agli altri faccio la stessa promessa: andremo avanti con più forza e più determinazione di prima sulla strada della libertà”.
Lo dobbiamo al nostro popolo, lo dobbiamo alla nostra democrazia, nella quale non prevarranno né la violenza delle pietre, né quella peggiore delle parole. In questi giorni ho sentito vicini anche alcuni leader politici dell’opposizione. Se da quello che è successo deriverà una maggiore consapevolezza della necessità di un linguaggio più pacato e più onesto nella politica italiana, allora questo dolore non sarà stato inutile. Alcuni esponenti dell`opposizione sembrano averlo capito: se sapranno davvero prendere le distanze in modo onesto dai pochi fomentatori di violenza, allora potrà finalmente aprirsi una nuova stagione di dialogo. In ogni caso, noi andremo avanti sulla strada delle riforme che gli italiani ci chiedono”.

Chi parla non è il mahatma Gandhi, nemmeno il reverendo Martin Luther King, nemmeno il santo padre Pio da Pietralcina, nemmeno il papa buono Giovanni XXIII e, sia chiaro, nemmeno Dio.
Chi parla è Silvio Berlusconi dopo essere stato dimesso dall’ospedale S. Raffaele di Milano.
Non che quello che dice di per sé sia errato, ci mancherebbe, la cosa errata è che è rivolta a “fomentatori di violenza” anziché a se stesso. Quando ho sentito e letto queste dichiarazioni, prima di arrivare alla fine dell’accorato pronunciamento berlusconiano, ho pensato che vuoi il clima natalizio vuoi il trauma (non solo fisico) di quanto avvenuto avessero, finalmente, riportato un po’ di pace in questa politicamente martoriata nazione. Mi sono sbagliato.

A fronte delle parole tutte amore di Berlusconi (immaginate una schiera di puttini – piccoli putti – con le ali e un coro di angeli) è iniziata la fase due, è iniziato un fuoco di fila dei suoi fedeli allo scopo di individuare i presunti fomentatori di violenza, i mandanti morali senza, invece, guardare a casa propria. Una vera e propria caccia alle streghe. Un maccartismo della peggior specie.
La parte del cattivo, la funzione del sicario la assume il presidente dei deputati PDL Fabrizio Cicchitto che, anziché gettare acqua sul fuoco e fare proprie le parole del suo capo, compila, sempre d'accordo con il suo capo, una vera e propria lista di proscrizione e vi include Antonio Di Pietro leader di “Italia dei Valori”, Michele Santoro e la sua trasmissione “Anno Zero”, tutta la redazione – per non sbagliare – de “La Repubblica”, Marco Travaglio e il suo giornale “Il Fatto”; sfiora anche la presidente del “Partito Democratico” la passionaria Rosy Bindi per la seconda parte della sua dichiarazione sull’aggressione subita dal presidente del consiglio. Il vero capo d’imputazione: opposizione, dissenso sulla politica governativa; posizioni che in un paese democratico sarebbero normali, anzi, essenziali.
Una vera e propria, questa sì, condanna a morte, certamente morale se non si superano i confini della correttezza civile ma, purtroppo, se l’andazzo è questo, se i termini per ora verbali di Cicchitto rimangono così aspri, mi assale qualche dubbio sul limite “morale” di questo falso e assurdo “dagli all’untore”.

Signor presidente, quanto lei ha detto può essere condiviso se è rivolto principalmente a se stesso anziché ai suoi oppositori, i quali, poveri, esercitano, spesso male, solamente un diritto/dovere democratico.
Nessuno vuole la sua morte né tantomeno la guerra civile se non chi la sta evocando a gran voce nelle piazze o nei consessi internazionali, sui propri giornali, amplificata dalle proprie televisioni: si legga, per favore, i titoli in prima pagina di questa settimana di “Libero” e de “Il Giornale” o si ascolti il suo fido amico Emilio Fede e mi dica chi è che cerca la rissa, chi è il guerrafondaio!



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martedì 15 dicembre 2009

IL COLPO

In ordine sparso.
Colpo della strega: è un episodio di lombalgia acuta che si manifesta con dolore particolarmente intenso localizzato nella bassa schiena (da non confondersi con il sedere).
Colpo di frusta: è una lesione traumatica da flesso-estensione del rachide cervicale (qui mostro le mie elementari conoscenze mediche).
Colpo dello spirito: è una skill (abilità) in cui il sura carica una sfera di energia e la scaglia sull’avversario (sono cose dell’altro mondo e non sto a spiegarvele).
Colpo dello scorpione: famosa mossa del mitico portiere colombiano René Higuita (cosa volete, lo sport acrobatico è la mia passione).
Colpo di stato: è un atto violento e illegale, posto in essere da uno dei poteri dello stato e diretto a provocare un cambio di regime (qui ci avviciniamo alla realtà).
Colpo di fulmine: improvvisa attrazione fondata spesso sulla bellezza maschile o femminile (ma anche in politica: Emilio Fede ne è un esempio).
Colpo di calore: è causato da un repentino incremento della temperatura corporea (il fenomeno lo si può notare quanto Ignazio La Russa parla in televisione e il suo delirio viene immediatamente corretto dal conduttore comunista).
Colpo di sonno: o narcolessia, si presenta come grande sonnolenza durante il giorno nonostante la notte la persona abbia dormito a sufficienza (come Renato Brunetta alle cerimonie ufficiali).

Colpo della madunina: è l’atto di un matto che, dopo l’ascolto di un comizio di Silvio Berlusconi, segue il suo istinto ed è corroborato da una schiera di lacchè del comiziante che lo vogliono prendere per sano di mente per potere, così, massacrare, senza ragione e a furor di popolo, l’avversario politico. Trattasi di occasione unica per mettere la museruola al Paese.

Signor Berlusconi lei ha tutta la mia solidarietà umana per il gesto di violenza demente di cui è stato oggetto.
Invece tu, onorevole Berlusconi, cambia il modo di governare, non distruggere questo Paese, tieni a freno i tuoi mastini.





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lunedì 14 dicembre 2009

A CHI GIOVA QUESTA AGGRESSIONE? CERTAMENTE NON ALL’ITALIA


Un uomo è stato colpito da un souvenir di Milano e ha subito una violenza. Quest’uomo è il signor Silvio Berlusconi. Io sono contrario a ogni violenza anche se fatta a Caino. Io sono contrario a qualunque violenza nei confronti di una creatura. La violenza non può e non deve avere patria.
Una notte ho sognato di litigare con una persona e nel momento in cui stavo per sferrargli un pugno mi sono svegliato, sconvolto, letteralmente bagnato dal sudore per l’incubo della violenza, io che non l’ho mai subita né praticata, almeno a livello fisico.
L’aggressore del primo ministro è uno psicolabile. Non un rivoluzionario, non un politicizzato o sindacalizzato e nemmeno uno dei centri sociali (come volevano darci a intendere alcuni servizi speciali televisivi e in primis quello condotto da Emilio Fede). Uno che, come ho sentito esclamare a un anziano siciliano, “non ha i sentimenti” cioè non c’è con la testa. Quindi nessun complotto, non c’è movente politico.
Mi rendo conto di aver affermato una cosa ovvia, che è già stata espressa in qualche modo da tanti, specialmente politici, ma non riaffermare con forza la mia assoluta contrarietà alla violenza potrebbe essere interpretato, contrariamente al mio sentimento, un’ipocrisia per addolcire il giudizio che ho su quanto è accaduto e che cerco di esprimere di seguito.


L’autore della violenza, psichicamente debole, ha seguito il comizio del capo del Governo e capo del PDL in piazza Duomo a Milano e ha ascoltato, a mio giudizio, una serie di balle e di battute grossolane, di attacchi alle istituzioni dello Stato, e all’opposizione (ma dov’è?) con un tono e una violenza verbale e una mimica facciale così gravi che anch’io, che non mi ritengo psicolabile, guardando i servizi televisivi, ne sono rimasto turbato. Figuriamoci lui.
Io sono fra coloro che affermano che, se non si cambiano subito tono e atteggiamento e non si cerca di governare l’Italia nel rispetto delle regole democratiche, ritorneremo ai tragici anni ’70 e la cosa mi terrorizza, avendola vissuta, sulla mia pelle come tanti altri, prima nella scuola e poi nelle fabbriche. Dobbiamo trovare un antidoto al veleno che certa politica arrogante e antidemocratica ha iniettato nella società e tocca per primo al governo, data la funzione istituzionale che ricopre, dare prova di assoluta responsabilità in questo momento difficile evitando di aizzare, come fa, gli animi.
Cosa chiedo a Berlusconi e al PDL: di mettersi da parte (ma questo per ora mi pare impossibile); di non negare il diritto di parola e di espressione all’opposizione; di non pensare solo agli affari suoi e non al bene della nazione, di non pretendere l’impunità; di rispettare le promesse fatte a L’Aquila e a Messina; di rispettare la magistratura e gli organi di garanzia che la Costituzione ha voluto; di non affamare il popolo con le sue false attenzioni a chi è in difficoltà; di non fare di questo incidente un pretesto per imporre “leggi speciali” per altro già richieste a viva voce dalla candida ministra Mariastella Gelmini; di iniziare un confronto civile con il paese; di smettere di evocare a gran voce il complotto.
Cosa chiedo a Bossi e alla Lega che è la vera stella cometa di Berlusconi e del PDL: di smetterla col celodurismo, con Roma ladrona, con la minaccia di una sommossa popolare, con l’aborto delle ronde notturne, con l’evocare il ku klux klan, con l’urlare un atteggiamento e una pratica razzista e xenofoba.
Cosa chiedo ai vari Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri ex AN: di riporre la loro arroganza e la loro violenza (per ora) verbale, di dimenticare il loro passato fascista, liberticida e, si legge, violento.
E che opposizione abbiamo?
Antonio Di Pietro, un parlamentare che si sente ancora poliziotto (quello di Tambroni e di Scelba, non quei poveri cristi di oggi che per lavorare – e lo fanno con successo, grazie - si devono pagare persino la benzina), di cui ho una disistima infinita, che (lui di destra) parla di cose di sinistra, che balbetta concitato e sgrammaticato. Lo immagino come una bambina con la voce di basso, fuori luogo, innaturale. La smetta di fare retorica politica per avere più voti. Anche lui, come Bossi, non estremizzi il conflitto ma proponga soluzioni.
Mi piacerebbe parlare di Pierluigi Bersani come strenuo oppositore: non ne posso parlare perché non c’è, non lo si vede e non lo si sente. Amen.
Ci rimane il popolo del web, i “cinquedicembrini” viola. Bravi, anch’io ho aderito, ma per un paese che si dice democratico è veramente troppo poco.

C’è da chiedersi a chi giova tutto questo. Cui prodest?
Sicuramente non agli avversari di Berlusconi.




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domenica 13 dicembre 2009

SE IO FOSSI MAFIOSO A CHI CREDEREI?


Quale differenza passa tra Gaspare Spatuzza e i fratelli Graviano?
Il primo è da ritenersi un pentito, un collaboratore di giustizia che ha dato più volte prova della sua attendibilità e si è accusato di molti delitti; i secondi non si sono dichiarati pentiti: Filippo Graviano ha contraddetto Spatuzza facendo un grande favore a Dell’Utri e a Berlusconi, l’altro, Giuseppe Graviano non ha neppure parlato come si conviene a veri “uomini d’onore”.
Voi a chi credereste? “Credere” è una parola grossa visto il mestiere di killer di questa gentaglia (sia essa pentita che non), io sarei più convinto dalle parole di Spatuzza perché, almeno, si è dichiarato pentito, e lo Stato lo ritiene tale, mentre sarei assolutamente sordo alle parole di chi pentito non è anzi, fa il suo mestiere di mafioso. Perché mai un mafioso dichiarato e orgoglioso di esserlo, con le palle insomma (come direbbe il nostro capo del governo), dovrebbe dichiarare la verità allo Stato? o confermare la “verità” di un pentito suo acerrimo nemico?
E se io fossi mafioso a chi crederei? a un pentito o a un ostinato boss di cosa nostra? Crederei ai fratelli Graviano.
Giro, ironicamente, la domanda dopo aver letto le dichiarazioni apparse in questi giorni sulla carta stampata e in video.

Se io fossi Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Augusto Minzolini, Maurizio Lupi, Ignazio La Russa, Umberto Bossi e soci, Renato Schifani, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Roberto Formigoni, Maurizio Gasparri, Sandro Bondi, Emilio Fede, Renato Farina, Nicola Cosentino, Nicolò Ghedini, Vittorio Saladino, eccetera, eccetera a chi crederei? a un pentito o a un ostinato boss di cosa nostra?
Se io fossi un vescovo o un cardinale a chi crederei? Questo non è dato saperlo. Non si sente volare una mosca. Queste guide e pastori d’anime sono un grande aiuto per il popolo cristiano, per la formazione delle coscienze. Complimenti.
Ma forse è meglio così!
Nella cultura mafiosa, il silenzio è omertà.





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venerdì 11 dicembre 2009

ANCHE L’ALBERO DI NATALE HA LE PALLE

Dove si trova uno forte e duro con le palle come Silvio Berlusconi?”. Domanda retorica.

È naturale che il nostro primo ministro (non fate finta di non sapere chi è, non guardatevi attorno mostrando indifferenza, non vergognatevi: è sempre Silvio Berlusconi) abbia le palle, anche l’albero di natale ha le palle (queste sì e, contrariamente alle prime, sono turgide e rosse o dorate, con i brillantini), anche un famoso antifurto di cui non faccio il nome per non fare pubblicità gratuita ha le palle (se ricordo bene, sono due e rosso porpora).
Sarei invece meravigliato se la frase fosse stata pronunciata da Angela Merkel, suonerebbe così: “Dove si trova una forte e dura con le palle come Angela Merkel?”. E questa non è una domanda retorica. Non ho nulla contro la presidente tedesca ma la sua naturale anatomia mi fa pensare che a lei manchino tali attributi, com’è giusto che sia.
Il nostro ducetto, nemmeno quando è in trasferta si rilassa (lo fa solo quando è con il suo amico Putin, chissà perché) e non perde occasione per attaccare mezzo mondo, compresi i giudici che lo vogliono giudicare e la Corte Costituzionale che vuole che il parlamento legiferi rispettando la Costituzione. E sì, cari giudici e cara Corte, voi siete fuori dal mondo. Continuate a far arrabbiare il nostro papi con il vostro pallino (sempre palla è, ma una sola e un po’piccola) di fare bene il vostro mestiere.

Ma questa volta si è mosso persino il presidente della repubblica emerito Carlo Azeglio Ciampi (è difficile applicarli l’etichetta di comunista): “Faccio fatica a commentare sortite così inqualificabili, che riflettono tempi molto tristi. Certo, ognuno è responsabile di ciò che dice e che fa e, nel caso di un politico, sta ai cittadini esprimere un giudizio. Ma stavolta ci sarebbe quasi da valutare anche se chi lancia questo genere di accuse sia davvero ‘compos sui’, vale a dire pienamente padrone di sé”. In termini popolari dice che il leader gli sembra veramente ammalato, niente di nuovo, lo aveva già annunciato la sua ex moglie.
Ma la condanna più dura viene dal presidente della repubblica in carica (questo sì comunista), Giorgio Napolitano: “In relazione alle espressioni pronunciate dal Presidente del Consiglio in una importante sede politica internazionale di violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla Costituzione italiana, il Presidente della Repubblica esprime profondo rammarico e preoccupazione. Il Capo dello Stato continua a ritenere che, specie per poter affrontare delicati problemi di carattere istituzionale, l'Italia abbia bisogno di quello spirito di leale collaborazione e di quell'impegno di condivisione che pochi giorni fa il Senato ha concordemente auspicato”. Cioè: tu Silvio vai all’estero e “sputtani” l’Italia attaccando gli organi di garanzia voluti dalla Costituzione: sei un pirla e un antidemocratico.
Concetto, questo, ribadito anche dalla terza carica dello stato Gianfranco Fini: “È certamente vero che la sovranità appartiene al popolo, ma il Presidente del Consiglio non può dimenticare che esso ‘la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’ (art. 1). Ed è altresì incontestabile che gli articoli 134 e 136 indicano chiaramente il ruolo di garanzia esercitato dalla Corte Costituzionale … È la ragione per la quale le parole di Silvio Berlusconi, secondo cui la Consulta sarebbe un organo politico, non possono essere condivise; mi auguro che il premier trovi modo di precisare meglio il suo pensiero ai delegati del congresso del Ppe per non ingenerare una pericolosa confusione su quanto accade in Italia e sulle reali intenzioni del governo”.
In un colpo solo, quindi, il nostro presidente Berlusconi ci ha parlato di sesso (palle), ci ha svergognato davanti al mondo, ha rinnegato di fatto la Costituzione, ha fatto arrabbiare la prima e la terza carica dello stato (la seconda, Renato Schifani, è papidipendente e speriamo solo questo) e ha detto che cambierà la Costituzione così sarà lui che giudicherà i giudici e non viceversa.

Credo abbia ragione Ciampi: non è “compos sui”; allora mi chiedo: nella Costituzione o nel codice civile o in quello penale c’è un articolo che, in caso di non padronanza di sé, si possa mettere a riposo il capo del governo? Se c’è, tiriamolo fuori, passiamo dalle parole ai fatti.



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giovedì 10 dicembre 2009

LA FIGURA DA CRETINO DI UN MINISTRO DELLA REPUBBLICA ITALIANA



Credo sia diventato un obbligo morale mettere alla berlina coloro che, pagati profumatamente per governarci, oltre a non governarci e fare solo gli affari loro, sono così stupidi (spero lo si possa dire senza essere condannati per diffamazione) da parlare senza sapere di cosa. Scriverlo serve per sdrammatizzare e per far capire che questi mostri di politici restano nella stanza dei bottoni non per loro capacità ma per incapacità nostra.
Vi cito solo un caso, a mò di esempio: non è particolarmente grave ma mette in mostra la meschinità culturale, politica e umana di un ministro della Repubblica.
Martedì 8 dicembre 2009; trasmissione “Ballarò”; conduttore: Giovanni Floris; uno degli invitati e protagonista indiscusso: Ignazio La Russa (con a fianco la rossa – non nel senso di comunista - Michela Brambilla, fulgido esempio di capacità politica); argomento: le accuse del mafioso Gaspare Spatuzza al sospettato Silvio Berlusconi.
Viene quindi trasmesso in video un brano della dichiarazione del mafioso: “Graviano mi disse che avevamo ottenuto tutto quello grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa storia. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi, (…) e c’era di mezzo un nostro compaesano, Dell’Utri. Grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo praticamente il paese nelle mani.”.

Il luciferino Ignazio, con lo sguardo da lanciafiamme, la voce cavernosa, la lingua impastata e il pizzetto spettinato si rivolge al comunista Floris e inizia col chiedergli perché c’è il puntino in mezzo (per la verità sono tre fra parentesi, ma lasciamo correre) e si lancia in una serie di affermazioni politico-temporali (le virgolette, secondo il ministro, nasconderebbero la citazione riguardante l’essere o non essere senatore, a quel tempo, di Dell’Utri), di accuse al conduttore di aver volutamente omesso (là dove ci sono i puntini) una frase che avrebbe evidenziato l’inconsistenza delle rivelazioni di Spatuzza, nascondendo la verità per indirizzare l’opinione pubblica perché “sono capaci (Floris e amici) di questo e di altro e anche di molto altro … lei vuole continuare in un’azione di calunnia in cui qualcosa resta sempre”. Lanciata l'infamia come una maledizione, che il popolo registri e ne tragga le conseguenze.
Floris replica e legge la frase omessa dai puntini: “Io chiesi se era quello di Canale 5 e mi disse sì”: grande imbarazzo del ministro della difesa e conclusione da gran signore del conduttore: “È sempre bello chiedere scusa quando si sbaglia”.
Vi propongo il video alla fine di queste righe, perché possiate dare voi stessi un giudizio, ma vi prego di non mostrarlo alle gestanti e ai figli se minorenni: potrebbero non riprendersi più, nemmeno con l’intervento del dottor House.

Per concludere: in Italia abbiamo come testa pensante un presidente del consiglio che, in virtù della sua carica, si sta facendo gli affari suoi a danno di tutti noi contro qualunque regola del convivere civile e una schiera di replicanti senza vergogna che hanno come unico compito quello di proteggere il loro capo anche a costo di perdere la propria dignità.
Vedete, ho ragione io: non sono capaci loro, siamo incapaci noi.




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mercoledì 9 dicembre 2009

PASOLINI E IL GOLPE. RICORDARE PIAZZA FONTANA


Ormai ci avviciniamo alla ricorrenza del 12 dicembre 1969, quarant’anni dalla strage di piazza Fontana a Milano: 17 morti e 88 feriti. Inizia la strategia della tensione dalla quale non ne usciremo mai completamente; ancor oggi resiste, certamente, per ora, con altre modalità e non con le bombe. Con l’uso improprio della democrazia e del voto popolare, per esempio.
Un amico mi ha suggerito, al riguardo, la lettura di un articolo di Pier Paolo Pasolini (apparso sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974) e con grande meraviglia ho scoperto che, a parte alcuni nomi e alcune situazioni oggi superate dal tempo e dalla storia, il giudizio che questo poeta, scrittore e regista ha espresso è odierno, anzi è attualissimo.
Ve lo propongo anche se un po’ lungo per un post ma, credetemi, vale veramente la pena leggerlo.

COS’È QUESTO GOLPE? IO SO
di Pier Paolo Pasolini
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ‘68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ‘68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All’intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al “tradimento dei chierici” è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto “insieme” di dirigenti, base e votanti - e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un “Paese separato”, un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel “compromesso”, realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: “compromesso” che sarebbe però in realtà una “alleanza” tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l’impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.


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