lunedì 19 ottobre 2009

PER NON DIMENTICARE ANNA POLITKOVSKAJA


Qualche giorno fa, il 7 ottobre, si è ricordato, per la verità in sordina, il terzo anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca, nella Russia di Vladimir Putin, nell’ascensore di casa sua con quattro colpi di pistola dei quali uno ha colpito la giornalista alla testa.
Assassinata perché ha raccontato dello sterminio in atto del popolo ceceno, delle ingiustizie verso l’uomo, delle barbarie di questa civiltà, del cinismo dei potenti della terra, del “maggiordomismo” come pratica di vita: è un’eroina, una martire della libertà, un esempio positivo.
Di lei, parla Vera, la figlia: “E’ stata assassinata per dare una lezione ai giornalisti, per dare un colpo fortissimo alla libertà di stampa in Russia. Posso dire con ragionevole certezza che i mandanti l’abbiano voluta morta non solo per le sue indagini e suoi articoli sulla Cecenia, ma per la sua opera, per il suo impegno più in generale”.



Ho riguardato, sul sito di Giorgio Fornoni, giornalista e reporter freelance (http://www.giorgiofornoni.com/: andatevelo a guardare e tenetelo sempre a portata di mouse), l’intervista ad Anna Politkovskaja che lo stesso ha realizzato per la trasmissione Reporter (Raitre) nell’agosto 2003.
Ve ne propongo un piccolo stralcio sperando di invogliarvi a leggerla tutta e questo per tre motivi: la giusta curiosità verso chi ha dato la propria vita per la libertà di tutti, perché continuare a ricordare il martirio è un modo per rendere immortale il “martire” e la sua lotta, perché è di un’attualità sconcertante, anche per noi italiani, oggi.

“… Ci parli delle tecniche di terrore di massa usate dai russi sui civili in Cecenia.
Non sono d'accordo con il vostro modo di esprimervi. Prima di tutto, non si parla di russi, ma di militari di diverse nazionalità. Ci sono forze federali contro la popolazione civile nella Repubblica cecena: tanto la popolazione russa quanto quella ucraina hanno condiviso la stessa sorte di quella cecena in quei territori. Conosco russi che sono stati torturati e altri russi le cui case sono state fatte saltare in aria intenzionalmente, poiché pensavano che nascondessero guerriglieri ceceni. I metodi utilizzati sono vari, e spesso ci si comporta da bestie più che da uomini. Un uomo può essere eliminato solo perché si trovava nelle vicinanze di militari. Un ragazzo di 26 anni, nel 2001, era in giro per le strade di Grozny quando è stato preso. E’ stato pestato mentre veniva portato alla stazione di polizia, e una volta lì gli è stato detto che per salvarsi doveva diventare un loro agente e indicare dove si trovavano i guerriglieri. Il ragazzo proveniva da una famiglia cecena perbene, era laureato, e si è rifiutato di collaborare. La cosa particolare è che ci sono stati dei testimoni di questo arresto. In generale si hanno a disposizione soltanto i risultati di queste violenze, cioè i corpi torturati. Questo ragazzo ormai agonizzante è stato gettato in una cella. La cella non era altro che una buca, e quando si venne a sapere che la mattina sarebbe giunto sul posto un procuratore, i militari hanno semplicemente gettato in un pozzo il corpo del giovane che si era rifiutato di diventare un loro agente. Dopo i bombardamenti a Grozny ci sono molti posti così, sono come dei pozzi che scendono verso il basso, là dove c'erano le fognature. Subito dopo hanno lanciato una granata e del corpo non è rimasta traccia. Lui ha semplicemente cessato di esistere. Questa è solo una piccola pagina di quello che accade in Cecenia. Ci sono varie tecniche di pulizia etnica, che in sostanza sono operazioni punitive contro villaggi interi. Viene circondato un villaggio, vengono portati via tutti gli uomini, e non tutti vi fanno ritorno. Dicono che viene controllato che fra loro non ci sia nessuno che abbia preso parte ai combattimenti, invece vengono pestati da qualche parte, vengono portati via e dichiarati scomparsi. La violenza di massa sulla popolazione maschile è un fatto perché rientra nella mentalità dei nostri soldati. Vengono portati via dai villaggi tutti gli uomini alti, forti, e vengono lasciati i vecchi e i drogati. In genere dipende tutto dal comandante della divisione. Questa non è una guerra di generali, ma di colonnelli: la sorte della persone dipende dall'ufficiale che comanda la divisione, che di fatto ha potere di vita e di morte.

Giovani ceceni pieni di odio, donne kamikaze. Cosa spinge a ciò?
La domanda è molto generica. Per prima cosa ci sono due tipi di donne kamikaze. Ci sono quelle della djamahat, le comunità religiose che ritengono tutto ciò un loro dovere verso Allah. La maggior parte sono persone portate alla disperazione da tutto ciò che ho raccontato prima. Madri, sorelle di scomparsi che hanno bussato alle porte di tutte le sezioni di polizia ricevendo sempre la stessa risposta: «Non ci sono più, sono scomparsi, rassegnatevi». Dal 2001 queste donne hanno iniziato a dire apertamente che a loro non rimane che farsi giustizia da sé. Se i militari si fanno giustizia da sé, in risposta riceveranno lo stesso. Nel 2001 ci sono stati i primi sporadici casi di donne kamikaze. Una donna si avvicina a un generale che ritiene responsabile della morte del marito e si fa esplodere. Muore lei, ma muore anche lui. Sono donne che non hanno un comandante, ma sono unite da una comune disgrazia. Per dirla in modo non militare, è quasi un «club»: non vedono altro senso nella loro vita se non la vendetta.


C'è qualche legame tra i ceceni e al Queda?
Come giornalista prima dovrei sapere cos'è al Qaeda. Dopo l'l l settembre c'è stato detto «è responsabile Al Qaeda». Ma che sistema è questo? Senza dubbio l'ex vice presidente ceceno Zemi-lhad Dardyev, scappato molto tempo fa dalla Cecenia senza combattere tutta la seconda guerra - e questo per un ceceno è un disonore - riceveva aiuti da Bin Laden e dalla sua struttura. Ho visto con i miei occhi le tombe degli arabi che hanno combattuto qui nella seconda guerra cecena, ma non so se fossero membri di al Qaeda. Credo che al Qaeda sia un paravento dei nostri potenti per nascondere i propri errori quando non riescono a fronteggiare gli attacchi terroristici. È come una nuova alleanza dopo la guerra fredda. Per questo alla vostra domanda non posso rispondere né sì né no. …”



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