lunedì 31 maggio 2010

L’ARROGANZA BERLUSCONIANA ENTRA IN CHIESA

Non mi era ancora capitato di ricevere una lettera che testimoniasse un disagio tanto semplice quanto sincero come quella che voglio, di seguito, condividere con voi. È una storia che, alla fine, non fa danni visibili ma che, certamente non fa bene al cuore, specie se il protagonista negativo è nientemeno che un vescovo.
Non allarmatevi, non si tratta di pedofilia, si tratta di arroganza, semplice arroganza. Ma come, direte voi, com’è possibile che ci sia un vescovo arrogante? Leggere e giudicate voi. Io, da parte mia, condivido totalmente la considerazione finale della mia lettrice, mentre condivido meno l’atteggiamento dei musicisti e degli organizzatori che mi pare, da quanto leggo, sia stato troppo morbido: come si permette quest’uomo, anche se vescovo, di aggredirmi verbalmente? In base a quale potere? Ma, grazie a dio, io non faccio testo.


Caro Bogar,
sono una tua lettrice fin da quando hai iniziato a scrivere e so perfettamente che tu tratti quasi esclusivamente temi politici e sociali e che Silvio Berlusconi, che tu chiami sbeffeggiandolo papiminchia, è il tuo bersaglio preferito. Voglio, tuttavia, raccontarti un fatto che nulla ha a che fare con la politica governativa ma che dimostra quanto dell’arroganza berlusconiana sia ormai intrisa la nostra società e, in questo caso, la chiesa nei suoi massimi vertici locali.
Lo scenario è Reggio Emilia, la città in cui vivo con la mia famiglia (un marito e due angeli di bambini), l’occasione è un avvenimento culturale pubblico, l’Arca d’Oro, che si ripete da ventotto anni, che vede coinvolti sia i bambini delle scuole, dalla materna alle medie, che i loro familiari: nel pomeriggio si esibiscono i bambini e i ragazzi e la sera si intrattengono bambini e genitori con musica dal vivo. Una festa semplice e sempre molto partecipata nella piazza principale della città che ha come scenario, veramente suggestivo, su un lato il Duomo e su un altro il Municipio (il luogo dove è nata la bandiera italiana).
Veniamo al fatto al quale ho assistito casualmente sabato scorso e che mi ha lasciato alquanto perplessa.
Il complesso musicale, che si era esibito nella piazza, termina verso le ore 23 il suo concerto salutando e ringraziando i presenti. Nello stesso momento piombano dietro il palco due persone che, visibilmente fuori di sé e aggrappate alle transenne, inveiscono contro i musicisti e contro gli organizzatori della manifestazione chiedendo di terminare di fare rumore (musica = rumore?) e minacciando di far intervenire la polizia. In un primo tempo, io e mio marito abbiamo pensato a un duo di ubriachi ma poi ci siamo resi conto che chi gesticolava e dava manifesti segni di collera era il nostro vescovo Adriano Caprioli assieme a un altro sacerdote che non conosco.
Ovviamente, la reazione dei musicisti e degli organizzatori è stata rispettosa nei confronti del vescovo della città, ma ferma nel dire che la festa aveva tutti i permessi necessari come confermavano le autorizzazioni comunali e che l’ora di chiusura della manifestazione era stata concordata con le autorità competenti e, quindi, si era perfettamente in regola. A quel punto il vescovo e il suo accompagnatore si allontanano visibilmente paonazzi e contrariati e non perdono l’occasione di inveire contro due poveri vigili urbani lì per servizio.
Questo è il fatto e ora una considerazione. In quale paese un vescovo, una persona che ricopre una carica importantissima nella chiesa e nella società, si permette di bacchettare, pubblicamente e con una violenza verbale impensabile, cittadini che si ritrovano e vivono un momento di festa, bambini e adulti assieme, cittadini ai quali l’autorità civile ha concesso tutti i permessi necessari. Non so se l’arroganza dimostrata da questo “pastore” della chiesa sia contemplata in qualche comandamento (oltre ai dieci che io conosco) certo è che questa intromissione ringhiosa non ha fatto bene a chi ha assistito alla pietosa scena e lo dice una mamma cattolica, apostolica e romana.
Anna ********




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domenica 30 maggio 2010

NON C’È DEMOCRAZIA SENZA VERITÀ

Ricordare le bombe e le stragi che hanno coinvolto l’Italia nel 92’ e ‘93 e sentirne, oggi, i commenti, le testimonianze e i giudizi di personaggi autorevoli e, già allora, testimoni politici di quel particolare momento storico, fa drizzare le carni.
23 maggio 1992: strage di Capaci. Vengono uccisi Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta.
19 luglio 1992: strage di via d’Amelio. Sono uccisi Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
26-27 maggio 1993: via dei Georgofili a Firenze. Cinque persone perdono la vita.
27 luglio 1993: via Palestro a Milano, Padiglione di Arte Contemporanea. Cinque persone perdono la vita.
28 luglio 1993: San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma: numerosi feriti e gravi danni.
Un bollettino di guerra vero e proprio con, allora, un unico mandante: la mafia. Oggi scopriamo che forse non è così, che forse non fu solo la mafia a ideare e a eseguire le stragi. Forse c’è dell’altro fino ad oggi tenuto nascosto o quasi.
Il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, uno che di queste cose se ne intende, davanti ai rappresentanti dell’associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili, ha affermato che certamente Cosa nostra, attraverso queste azioni criminali ha inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste. D’altro canto occorre dimostrare l’esistenza di un’intesa criminale con un soggetto anche politico in via di formazione, intenzionato a promuovere e sfruttare una situazione di grave perturbamento dell’ordine pubblico per la sua affermazione. Rimangono molte domande a cui bisogna dare risposta”.
Walter Veltroni conferma e chiede di chiarire: “Il Paese non può assistere da spettatore indifferente a notizie sconvolgenti che in altre democrazie sarebbero priorità assolute. Mettiamo per un momento da parte tutto il resto, la manovra finanziaria e la crisi, Berlusconi e Fini, le questioni interne ai partiti e fermiamoci tutti, destra e sinistra, a riflettere sulle parole di Piero Grasso. Sì, i galantuomini di destra e di sinistra, perché in ballo ci sono i fondamentali della democrazia. C’è davvero un pezzo dello Stato dietro la morte di Falcone e Borsellino, le stragi del ‘92 e ‘93? Se è così, che cosa c’è di più importante da chiarire ora e subito?”.
Ora, anche l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in quegli anni Capo del Governo, conferma il nuovo scenario che vede pezzi di anti-stato minare la democrazia e chiede al governo e a Silvio Berlusconi di rompere il muro del silenzio, di chiarire in Parlamento cosa accadde tra lo Stato e la mafia in uno dei passaggi più oscuri della nostra Repubblica. “Non c’è democrazia senza verità. Questo è il tempo della verità. Chi c’è dietro le stragi del ‘92 e ‘93? Chi c’è dietro le bombe contro il mio governo di allora? Il Paese ha il diritto di saperlo, per evitare che quella stagione si ripeta ... Chi armò la mano degli attentatori? Fu solo la mafia, o dietro Cosa Nostra si mossero anche pezzi deviati dell’apparato statale, anzi dell’anti-stato annidato dentro e contro lo Stato, come dice Veltroni? E perché, soprattutto, partì questo attacco allo Stato? Tuttora io stesso non so capire”.
Non fa impressione tutto questo?
Cosa vuol dire Grasso quando afferma che cosa nostra ha inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche? Si riferisce forse a Forza Italia ridando così, in qualche modo, dignità alle “minchiate” del pentito di mafia Gaspare Spatuzza?
Veltroni conferma l’esistenza e l’operatività deviata dell’anti-stato. Chi è il regista di tutto questo e a chi ha giovato? Chi e cosa è nato e cresciuto dal sangue di questi assassinii?
E perché, come afferma Ciampi, si continua a nascondere al paese la verità? Chi ha paura della verità, temendo la democrazia? Cosa sottintende quando dice “... per evitare che questa stagione si ripeta”, sono in pericolo già oggi la libertà e la democrazia?
Ho l’impressione che non ne verremo a capo: la stampa ne parla lo stretto necessario e chi ci governa teme, meglio, odia la democrazia (leggi ad personam, bavaglio alla libertà d'informazione, guerra al potere giudiziario, eccetera).


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mercoledì 26 maggio 2010

UN ESORCISTA AL GOVERNO? E SE FOSSE INVECE UN VAMPIRO?

Ha ragione da vendere Nichi Vendola, il governatore della Puglia: “finalmente viene a galla la verità: per due anni il paese è stato governato da un esorcista, da uno che ha coperto la realtà e che gli italiani fossero indotti a pensare che gli annunci della crisi appartenessero solo ai disfattisti e ai catastrofisti della sinistra”.
E ora il nano imparruccato, che-dio-lo-stramaledica, ci spenna come polli in batteria, all’ingrosso, con il beneplacito di CISL e UIL, perché, se non vi è chiaro, la manovra finanziaria, così come la si apprende dalla stampa, sembra colpire tutti ma in effetti, se fate i conti, dissangua noi poveracci e fa il solletico alla nauseabonda cricca (e come potrebbe essere diversamente) rappresentata dai Silvio Berlusconi, dai Claudio Scajola e dai Guido Bertolaso. L’infame ha giurato e spergiurato che l’Italia non avrebbe subito la crisi contrariamente a quanto urlavano quei menagramo senzapatria dei comunistacci, poi ci ha detto che la crisi era alle spalle (quindi se è passata, vuol dire che c’è stata) e ora ci presenta il conto con le parole e la faccia-maschera del curiale Gianni Letta (stessa cricca dei precedenti): “È una manovra straordinaria che ci chiede l'Europa. Ci saranno sacrifici molto pesanti, molto duri che siamo costretti a prendere, spero in maniera provvisoria per salvare il nostro Paese dal rischio Grecia. Capiamolo così e ci capiamo tutti”. Già, il condottiero d’Italia, il puffo viagrato, il sangiorgio nostrano, usa la faccia altrui per dirci che non poteva soffocare con ulteriori balzelli il popolino prima della campagna elettorale (le regionali) perché avrebbe perso il consenso; ma ora è diverso: il popolo bue lo ha già votato e premiato e ora si merita, come ricompensa, la garrota. Se ne sono accorti persino i compassati dipendenti di Palazzo Chigi che, a sorpresa, ieri hanno fischiato all’indirizzo dei ministri Giulio Tremonti e Renato Brunetta. Ben gli sta.
Ora siamo in attesa di leggere quale sarà la nostra sorte, solo pochi giorni di pazienza, il tempo di mettere nero su bianco e poi lacrime e sangue pro vampiro di Arcore.
Non ci basteranno i fischi all’indirizzo dei ministri, occorre reagire energicamente e democraticamente avendo in mente la ricostruzione di un paese differente da quello tradito e rimaneggiato dal capo del Governo e nel quale poterci riconoscere e vivere.
La coraggiosa dedica dell’attore Elio Germano, che qualche giorno fa è stato premiato a Cannes come miglior attore protagonista, mi sembra appropriata: “all’Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere il paese migliore nonostante la loro classe dirigente”.






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giovedì 20 maggio 2010

ALTRO CHE FASCISMO: È BERLUSCONISMO

Non è difficile trovare delle similitudini. Certo, i metodi sono differenti ma gli effetti sono i medesimi, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, come ci insegnava, alle scuole medie cinquant’anni fa, l’insegnante (spesso acida e zitella, allora si diceva così) di matematica.
Non c’è più la necessità di zittire, con una pugnalata, i Giacomo Matteotti; il parlamentare assassinato dai fascisti era un vero oppositore a Benito Mussolini mentre, oggi, non riusciamo a individuare in parlamento, e nella politica in genere, una personalità che si opponga veramente al novello duce Silvio Berlusconi. Però, e qui si evidenzia a ben guardare l’analogia, se oggi non c’è un assassinio politico, abbiamo, per esempio, la carneficina perpetrata dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz di Genova durante il G8, nel luglio del 2001 con l’allora ministro dell’interno Claudio Scajola (buon sangue non mente) che impartisce alla polizia l’ordine di sparare e l’attuale presidente della camera il “democraticoGianfranco Fini che, casualmente, nelle stesse ore dell’irruzione nella scuola, si trovava nei locali della questura di Genova. I giudici della terza sezione della Corte d’Appello del Tribunale di Genova, la sentenza è di questi giorni, condannano 25 persone (compresi i più alti gradi della polizia) complessivamente a quasi un secolo di carcere: riconoscono quindi la brutalità criminale e prefabbricata, voluta dal regime berlusconiano per mano dell’allora ministro Scajola, allo scopo di chiudere la bocca al dissenso. Oggi, come allora, la violenza di regime ha i suoi difensori, roba da non credere; infatti, il sottosegretario all’Interno ed ex(?)fascista, Alfredo Mantovano afferma, con una nota ufficiale, che i poliziotti condannati dalla Corte d’Appello per i pestaggi al G8 di Genova alla scuola Diaz “resteranno al loro posto, che non si limitano a occupare, svolgendo il loro ruolo con grande responsabilità e dedizione, rispetto al quale ci può essere solo gratitudine da parte delle istituzioni”. Non bastando questo, interviene il capo stesso di Mantovano, il ministro dell’Interno e leghista Roberto Maroni che in conferenza stampa dichiara “Sottoscrivo al cento per cento l’opinione ufficiale espressa dal Viminale nella persona del sottosegretario Mantovano”.
In volgare vuol dire che il potere esecutivo se ne infischia del potere giudiziario e lo dichiara pubblicamente con arroganza e senza tema di smentita. Come in qualunque regime totalitario.
Sempre per non farci mancare qualche analogia con il regime fascista, scopriamo che non c’è più la necessità di emanare leggi razziali, come avvenuto dal 1938 in poi fino alla caduta del fascismo: oggi, tramite le televisioni berlusconiane e quelle pubbliche (che sempre berlusconiane sono) e la dottrina leghista e l’assenza di una vera opposizione, queste leggi non hanno bisogno di essere promulgate perché sono già state iniettate, come un veleno, nel cervello e nel sangue degli italiani. Ricordiamo Rosarno.
Da ultimo, per questo post, la Commissione Giustizia del Senato ha dato il via libera alle norme del ddl sulle intercettazioni che, se approvato definitivamente dal parlamento, produrrà almeno due effetti drammatici: la paralisi della giustizia e il bavaglio alla stampa e quindi a una delle libertà fondamentali. Eccone un accenno (liberamente tratto da un articolo di Fulvio Milone su La Stampa di Torino), tanto sintetico quanto drammatico per la democrazia e, quindi, per la nostra civile convivenza.
PER I GIUDICI:
- le intercettazioni sono possibili solo in presenza di gravi indizi di reato e se assolutamente indispensabili alle indagini (i pubblici ministeri dovranno già avere elementi concreti che provino la responsabilità di chi finisce sotto controllo);
- l’intercettazione sarà possibile solo con l’autorizzazione del Tribunale collegiale (per ottenere l’ok all’intercettazione non basterà più il pronunciamento del gip, ma occorrerà il parere di tre giudici riuniti, un ulteriore passaggio che rallenterà le indagini);
- l’autorizzazione alle Camere va chiesta anche se il politico parla sull’utenza di terzi (quando si ascolta la voce di un parlamentare durante la conversazione di un indagato, ogni atto deve essere secretato e custodito in archivio. Per proseguire nell’ascolto ci vuole l’ok delle Camere);
- impossibile intercettare un sacerdote senza avvertire l’autorità ecclesiale (se un pm intercetta o indaga un uomo di chiesa deve avvertire immediatamente il Vaticano).
PER LA STAMPA:
- black-out sulle indagini. E’ vietato dare notizie su qualsiasi atto anche non segreto fino alla fine dell’udienza preliminare (l’effetto del divieto è evidente: fino al rinvio a giudizio, cioè al processo, sarà impossibile per gli organi di informazione mettere il lettore al corrente delle inchieste giudiziarie fino alla loro conclusione, tanto meno rendere conto delle intercettazioni, pena il carcere e ammende salatissime. Non si potrà scrivere su casi giudiziari scottanti come quelli che coinvolgono politici e pubblici funzionari disonesti;
- via le tv dal tribunale. Niente riprese durante i processi senza il consenso di tutte le parti Vietate anche le immagini dell’aula (il cittadino non potrà seguire in tv le fasi del dibattimento. In altri termini, il cittadino non verrà informato);
- la norma «D’Addario». Sono vietate registrazioni e riprese senza l’autorizzazione preventiva dell’interessato (Il riferimento al nome della escort che ha registrato gli imbarazzanti colloqui con il presidente del Consiglio, finiti sulle pagine dei giornali, è eloquente);
- il provvedimento «salva-Iene». Non è perseguibile il giornalista autore di registrazioni o riprese video all’insaputa dell’interessato (grazie ad un emendamento dell’opposizione, i giornalisti sono stati «salvati» dai rigori della «norma D’Addario». Per loro cade il divieto di «scippare» interviste e immagini. L’eccezione è finalizzata a garantire ai professionisti il diritto all’informazione sancito dall’articolo 21 della Costituzione).

Forse nemmeno il fascismo era arrivato a tanto: là dove non poté Mussolini, poté Berlusconi.



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venerdì 14 maggio 2010

LA LISTA, ANEMONE E I BERLUSCONI

Non saprei dire se la lista del costruttore Diego Anemone, indagato per i cantieri alla Maddalena del G8, è una lista di proscrizione, come vorrebbe farci credere l’impaurita maggioranza al governo, oppure è l’elenco ordinato dei “debitori” per grazie ricevute o, semplicemente, l’elenco ordinato dei lavori eseguiti dall’imprenditore del mattone. Io sono dell’idea che la lista sia un misto di elenco “debitori” e di elenco “committenti” regolarmente paganti.
Sarà la magistratura a dire l’ultima parola, quella che vale, nella speranza che non si scopra che anche una parte di essa è debitrice di Anemone come parrebbero essere molti politici, uomini di cultura, uomini di legge, dei servizi segreti e alti prelati.
Certo è che l’affaire sollevato dalla Procura della Repubblica di Perugia, al di là dei reati e della loro punibilità, è una cosa dura da digerire perché ha messo a nudo un sistema di relazioni e di governo degli affari assolutamente devastante: da una parte abbiamo un costruttore che, per mestiere cioè per soldi, fa l’asso-piglia-tutto e dall’altra una fila infinita di uomini dello stato che, anch’essi per mestiere cioè per soldi, non solo permettono ma addirittura offrono il loro potere per contravvenire alla legge e truffare lo stato e quindi i cittadini che dovrebbero governare e difendere.
Ora, ditemi quale differenza reale riscontrate tra tutto questo e cosa nostra siciliana o la ‘ndrangheta calabrese o la camorra campana o la sacra corona unita pugliese? Altro che tangentopoli, quello cui stiamo assistendo rivela una delinquenza peggiore di tutte le mafie perché perpetrata da chi si dichiara servitore dello stato, da chi vive ed è mantenuto dai cittadini. Anche le modalità e l’arroganza sono simili se non peggiori di quelle mafiose; omertà e violenza la caratteristica.
Volete qualche esempio? Siete presto e facilmente accontentati.
L’ex ministro Claudio Scajola ci dice, in sequenza, che lui non c’entra con la questione e che non si dimetterà mai e che vuole chiarire tutto davanti ai giudici, quindi si dimette dicendo a noi cretini che i 900.000 euro sono piovuti dal cielo a sua insaputa e che se trova questo delinquente di donatore anonimo lo impala e che, comunque, chiarirà tutto davanti ai giudici. È di queste ore la dichiarazione che dal giudice non ci va, non c’è nulla da chiarire. Fulgido esempio di trasparenza.
Il generale della Guardia di Finanza Francesco Pittorru prima dichiara di aver ricevuto da Anemone un prestito, quindi dice di averne documentazione, poi afferma che, guarda la coincidenza, i ladri gli hanno portato via i documenti (non i soldi, ma quei documenti) ma che il finanziatore può testimoniare la sua versione: ebbene il costruttore dichiara che a lui non risulta alcun prestito ergo, dico io, sono una regalia. A un generale della Finanza! A uno che dovrebbe essere un controllore della legalità!
Non dimentichiamoci però dell’amatissimo e agitatissimo Guido Bertolaso (quello della massaggiatrice Monica che, nella sua fantasia erotica, dovrebbe essere l’alter ego della più famosa e billclintoniana Monica Lewinsky) che durante un’incredibile e recente conferenza stampa afferma che lui ha avuto solo un rapporto d’affari con il costruttore, rapporto regolarmente fatturato. Peccato che i rapporti tra i due sembrino essere tre o quattro. Questo servitore dello Stato e membro del Governo della Repubblica ci ha mentito sapendo di mentire.
Non vi cito, poi, Sandro Bondi, perché il mio disgusto è tale che temo di travalicare i confini della decenza: mi limito a dire che il nostro poeta, Sandro Alighieri, ci dimostra la veridicità del motto carmina non dant panem.
Non posso concludere queste sintetiche riflessioni senza citare l’imbarazzato e incazzatissimo presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al quale tutte queste notizie fanno venire l’orchite, non perché scandalizzato, ci mancherebbe, dicono che lui ha fatto e fa di peggio, ma perché tutti questi (e sono centinaia) hanno fatto le cose male (perché si sono fatti beccare) e senza il suo permesso. Il papiminchia, ora, per tirarsi fuori dai guai, urla che chi ha rubato deve andarsene dal governo e dal partito ed è giusto che sia così. E io aggiungo che chiunque sia coinvolto in questa colossale truffa, sia di destra che di sinistra sia laico che chierico, deve essere messo alla gogna e deve pagare, con gli interessi usurai, il debito, in denaro e in onore, così contratto con la società civile.
Silvio, però, non può risolvere la questione offrendoci la testa di qualche suo smidollato e prono colonnello (solo perché non ha imparato bene dal capo) o correndo ai ripari con una tardiva legge anticorruzione (che, comunque, va fatta subito). Il problema, da quindici anni, è lui e solo lui: ne tragga finalmente le conseguenze, restituisca la libertà e l’onore agli italiani.


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martedì 11 maggio 2010

FUORI DALLA RETORICA – I 150 ANNI DI UNITA’ D’ITALIA (1)

Non voglio, oggi, parlare di questo governo che non governa e che fa solo i propri affari.
Non voglio parlare dell’appropriazione indebita di meriti governativi a riguardo dell’intesa raggiunta in Europa a seguito della crisi greca; non diamo retta agli sproloqui dei nostri governanti, basta chiedersi come mai, per chiudere la questione, il presidente Usa, Barack Obama, ha telefonato al presidente francese Nicolas Sarkozy e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, ignorando il grande leader italiano Silvio Berlusconi.
Non voglio nemmeno parlare di Claudio Scajola che giura e spergiura, poveretto, di non sapere di aver ricevuto un piccolo presente di 900.000 euro per comprare casa e pretende che noi gli crediamo.
Non voglio parlare di Guido Bertolaso, iperattivo in tutto, negli affari come nei massaggi, che si accomuna, l’imbecille, a Bill Clinton, con un nome di donna, Monica.
E non voglio parlare del sommo vate e pio-uomo Sandro Bondi che si fa compatire, come suo solito, piagnucolando contro la partecipazione dell’opera di Sabina Guzzanti al festival di Cannes e declinando in un primo tempo l’invito a presenziare all’evento internazionale per accettarlo, poi, vista la reazione del mondo politico e culturale non solo italiano, con una meschina, ma a lui adeguata, giustificazione.
Lo schifo aumenta e stiamo per rimanerne soffocati.
Voglio invece iniziare a parlare, in libertà, delle manifestazioni per i 150° anniversario dell’unità d’Italia che culmineranno il 17 marzo 2011 e che vedono Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, già in frenetica attività prima in Liguria, a Quarto, e ora in Sicilia, a Marsala sulle orme di Garibaldi.
Occorre una premessa: l’unità d’Italia è un fatto che ora c’è e che va rispettato e difeso contro ogni tentativo di smembramento o secessione, ma ciò che manca è la storia vera che ha portato all’unificazione del paese sotto i miserabili colori dei Savoia. La storia dell’unità d’Italia che noi studiamo, è una storia confezionata dalla massoneria e dalla borghesia, entrambe carnefici coscienti e immorali dell’identità e della vita delle popolazioni del sud.
Un libro, pubblicato di recente, prova una ricostruzione storica che fa accapponare la pelle. Il saggio è dello scrittore e giornalista Pino Aprile e s’intitola “TERRONI. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali”. Ve ne propongo un brano del primo capitolo. Nei prossimi post avrò occasione di approfondire l’argomento, come mio piccolo contributo alla verità contro la retorica dell’unificazione.



   Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
   E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
   Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).
   Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
   E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
   Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».
   Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantanamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
   Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.
   Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
   Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
   Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.
   Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.
   E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
   Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
   Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
   Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
   E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
   Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
   Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como...


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venerdì 7 maggio 2010

L’ITALIETTA BERLUSCONIANA SECONDO MARIO MONICELLI

Ieri sera, ad Annozero, il regista novantacinquenne Mario Monicelli ci ha dispensato uno spaccato mozzafiato dell’Italia di oggi, dell’italietta di Silvio Berlusconi e dei vari Claudio Scajola che circondano il nano imparruccato. Un’Italia ridotta a una tragica farsa se non ci fosse in gioco la nostra libertà di esistere con la dignità di uomini. Ne trascrivo, il più fedelmente possibile, una parte e mi permetto solo un commento personale: ciò che ci dice Monicelli lo sento e lo faccio mio e ve lo propongo per aiutarci a passare dalla denuncia all’azione.


«… La verità è che “Io so’ io e voi nun siete un cazzo (dal film Il Marchese del Grillo) è uno che sa, che ha qualcosa da fare, qualcosa da dire. Il guaio è che qui non c’è governo… non c’è niente qui.
La verità è che l’Italia… gli Italiani non sono governati, non c’è democrazia, perché non c’è certo un governo del popolo, non c’è monarchia, non c’è aristocrazia, non c’è niente…
C’è gente che è soltanto accampata qui, a difendere i propri interessi, ad accumulare denaro, a difendersi dagli attacchi altrui, nessuno vuol governare…Il presidente del consiglio cosa fa? Passa da un dicastero all’altro, va in giro dicendo continuamente che tutto va bene, siamo a posto, noi siamo meglio degli altri…
Si deve mettere d’accordo con quelli della Lega, i quali sono occupati soltanto ad accaparrarsi, se possono, solo un pezzo dell’Italia che è ricca…
Tutto va allo sbando…
Oggi c’è stata una seduta importantissima alla Camera dove il Ministro dell’Economia spiegava la situazione della nostra economia… l’euro sta andando a capofitto.
Vogliamo sapere l’euro a che punto è, l’euro è quel che ci fa campare, che ci da gli stipendi, sta andando a precipizio...
L’Italia sta fallendo…
Il ministro stava a Montecitorio, a Montecitorio ci sono 600 deputati, ce n’erano 50, gli altri 550 che facevano? Stavano in giro per l’Italia, per il mondo, ad arraffare, ad accumulare quattrini, a portare i capitali all’estero, a salvare la famiglia, a salvarsi tra di loro…
Nessuno si occupa dell’Italia, di governare questo povero paese… ognuno fa i propri interessi… quando può, è soltanto una minoranza, perché chi non può farlo sta soltanto in attesa di sapere qual è la sorte…
...
Gli Italiani vorrebbero che ci fosse qualcuno… hanno sempre fatto questo, hanno sempre sperato che ci fosse qualcuno che si occupasse dei loro affari e li lasciasse tranquilli… l’uomo forte…
Lo hanno avuto per vent’anni… e quello li ha mandati alla rovina, alla guerra, stragi…
Ne volevano un altro, questo non è in grado nemmeno di far questo…
E’ in grado di fare gli affari suoi e tutti quelli che vanno con lui si fanno i propri affari…
E’ una barca che sta affondando, sta andando alla deriva questa povera penisola e tutti si occupano soltanto di salvare la propria pelle…
Questo è lo stato delle cose, questa è la situazione di questa penisola, questa è la verità, questo bisogna dire…»







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martedì 4 maggio 2010

LA COLONIZZAZIONE DELLA RAI. L’ENDEMOL DI BERLUSCONI

I contratti più importanti della RAI vanno a Silvio Berlusconi e ai suoi figli, proprietari della Endemol. Ma non lo trovo scandaloso. Quello che troverei scandaloso sarebbero scelte al di fuori della normativa vigente. Se vogliamo fare un codice etico per cui con la Rai non possono avere nulla a che fare i parenti fino al sesto grado di chi siede in Parlamento, io sarei d’accordissimo”. Fin qui è Italo Bocchino in un’intervista rilasciata a SkyTg24.
Qualora ce ne fosse la necessità, questa è la prova provata dell’esistenza di un elefantiaco conflitto d’interessi ma nessuno, se non pochi e sparuti sfigati, usano la notizia per battere i pugni sullo scranno parlamentare o per denunciare la questione come scandalo nazionale. Evidentemente non è notizia o, se lo è, qualcuno ha decretato di metterla in sordina imbavagliando la televisione (e questo è purtroppo comprensibile oltre che chiaro ed evidente) e la stampa (e questo è meno comprensibile e dà adito a qualche ulteriore sospetto).
Alcune considerazioni, a voce alta, in questa deprimente società italiana dove un mascalzone pieno di soldi riesce a comprare tutto, avversari e coscienze comprese.
La denuncia delle mani sulla e nella RAI del presidente del Consiglio, attraverso Endemol, non ci viene notificata da un membro dell’opposizione ma da un esponente parlamentare della maggioranza, seppur in odore di eresia e probabilmente presto messo al rogo. Non deriva quindi dal desiderio e dalla consapevolezza di denunciare un’ingiustizia e un’illegalità ma dalla guerra tribale, tra bande, all’interno del partito dell’amore berlusconiano (al capo le escort e ai lacchè l’autoerotismo); non scaturisce, quindi, da un’accusa formulata dagli avversari politici, capeggiati (si fa per dire) da Pierluigi Bersani, i quali continuano serenamente il loro letargo.
Tuttavia a Bocchino non fa specie la questione, non lo scandalizza il fatto essendo, questo, avvenuto all’interno della normativa vigente. In effetti, il nostro ex-aennino, ex-missino e fascista, non intende affatto denunciare eventuali conflitti d’interesse anzi afferma che va bene così perché tutto è rispettoso della legge: per questo genio della democrazia, che il capo del Governo, possessore di tre reti televisive, sia il principale fornitore della sua concorrenza non è un problema nazionale, una vera emergenza politica. E all’opposizione non resta che qualche mugugno più per forma che per sostanza.
Endemol, dal 14 maggio 2007, è proprietà di Mediaset e fornisce la maggior parte dei programmi d’intrattenimento della Rai che, tradotto, vuol dire la colonizzazione dell’emittenza pubblica da parte dell’emittenza privata, cioè far passare ovunque il pensiero unico berlusconiano di stato, di politica e di morale e lo si vede dai programmi spazzatura che da un po’ di tempo la Rai ci elargisce. Ma nessuno pensa di ribellarsi.
Anzi, Paolo Bassetti, presidente e amministratore di Endemol (ovviamente in nome e per conto del cavaliere), con la tracotanza di chi si sente protetto dal potere, ci dice chiaro e tondo perché Berlusconi occupa la Rai: “Smettiamo di avere una visione pedagogica della tv, spetta alla scuola. L’etica della tv commerciale è il rapporto tra il cliente e il consumatore. Il servizio pubblico deve offrire ciò che serve per conoscere la realtà, non ciò che è bene e che è male”. La televisione è così al servizio non della verità ma della realtà plasmata e imposta dal padrone.
Noi siamo nelle mani di questa gentaglia e lo saremo fino a quando non metteremo a ferro e fuoco questa situazione, fino a quando sopporteremo gli inciuci dalemobersaniani, fino a quando il nostrano despota continuerà a regnare indisturbato.



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