sabato 28 novembre 2009

NESSUN REGALO ALLE MAFIE

Non è certo che i risultati positivi accreditati al ministro leghista Roberto Maroni siano il segno di una lotta senza quartiere alla mafia; mi pare piuttosto, senza nulla togliere alla positività degli arresti eccellenti, che rispondano più a una logica di eliminazione della parte “perdente” della mafia a tutto vantaggio non dello stato ma della parte oggi “vincente”.

Perché affermo questo? Perché lo stato, nonostante ciò che dichiara, di fatto sta favorendo questo cancro italiano legiferando sulle intercettazioni (tempi e metodi ingestibili e improduttivi), sullo scudo fiscale (sistema di lavaggio automatico e legalizzato del denaro sporco), sul mancato commissariamento del comune di Fondi (vergogna nazionale da addebitare al capo del governo senza dimenticare il pavido Maroni costretto a rimangiarsi il suo duro giudizio contro il potere mafioso che si è insediato in quell’amministrazione comunale).
E ora, la ciliegina sulla torta: la messa all’asta degli immobili confiscati alla mafia e non più destinati, come sancito dalla legge 109 del 1996, all’assegnazione degli stessi a fini sociali, istituzionali o di pubblica sicurezza.
Risultato: la mafia (utilizzando ovviamente dei prestanome) si ricomprerà, a prezzi stracciati, ciò che lo stato ha confiscato a loro stessi. In questo modo tutti avranno il loro tornaconto: la mafia si riappropria di beni pagandoli meno di una sciocchezza (vi immaginate cosa può succedere a un cittadino normale se si mette a competere con la mafia in un’asta ?) e questo governo può “fare cassa”. Tra mafia e governo si instaura, così, un’intesa perfetta che viene accettata dalla maggioranza del parlamento.


Nemmeno le tragiche morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono in grado di piegare l’immoralità di questi nostri governanti.
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele, ha lanciato una mobilitazione e un appello; eccovi il testo.


NIENTE REGALI ALLE MAFIE, I BENI CONFISCATI SONO COSA NOSTRA
Tredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all’unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.
Oggi quell’impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. È facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all’intervento dello Stato.
La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.
Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l’emendamento sulla vendita dei beni confiscati.
Si rafforzi, piuttosto, l’azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. S’introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti “cosa nostra”



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