giovedì 5 novembre 2009

L’ATTUALITÀ DI PIETER VAN DER MEER

Prigioniero dell’influenza e non avendo forze sufficienti per un qualsiasi lavoro ma non volendo stare nell’ozio, ho iniziato a leggere un libro scritto da Pieter Van Der Meer dal titolo: “Uomini e Dio”.
Per la verità si tratta di una rilettura poiché lo lessi la prima volta nel dicembre del 1983 quando mio figlio, di appena ventuno giorni, fu tra la vita e la morte (e ha vinto, grazie a Dio, la vita).

Chi mi aveva indicato questo libro lo aveva fatto, e ha avuto ragione, per dare allora a me e a mia moglie un po’ di consolazione e di coraggio e per asciugare le nostre lacrime. La stessa persona sta ora combattendo tenacemente contro il suo male, che sicuramente vincerà, ma che lo fa soffrire e che io, suo amico, non sono in grado di consolare. Sto rileggendo questo testo, quindi, pensando alla sofferenza sua e a quella dell’autore e dei personaggi del libro nella ricerca di una condivisione, se non carnale almeno trascendente, del suo dolore.

Van Der Meer, olandese, nato nel 1880, è un socialista anarchico, scaricatore di porto, si converte al cristianesimo e diventa frate. Le sue amicizie sono da ricercare tra le intelligenze di Francia di quel periodo: musici quali Satie; pittori quali Picasso e Rouault; letterati quali Bloy, Cocteau, Erembourg, Du Bos; filosofi quali Maritain.

Il brano che vi propongo (che ognuno può e deve interpretare come vuole ma, vi prego, non in modo bigotto: sarebbe una banalizzazione e un tradimento del pensiero di Van Der Meer), pone la domanda sulla vita, la pone con linguaggio e termini di quel periodo storico e culturale, 1911-1935, che dobbiamo ovviamente riportare all’oggi: mi pare di grande attualità e insegnamento.

Nulla poteva soddisfare questi giovani. Con la potenza della passione del loro essere, aspiravano alla grandezza, alla vita; avevano necessità di quello che è universale e cercavano una risposta vera all'inquietudine della loro anima. Ciascuno secondo il suo temperamento, la sua natura, aveva ripensato le questioni, i problemi, gli enigmi della vita, della morte, della sofferenza e del male. Volevano sviscerarli fino in fondo, nel fondo•oscuro del loro abisso, ma davanti al vuoto, davanti alla notte della materia muta, davanti al silenzio degli spazi infiniti, si erano arrestati disperati. Non era più possibile vivere in questa anarchia spirituale. Jacques aveva trovato la liberazione per primo. Senza volersi illudere, aveva sinceramente cercato la verità e il suo pensiero aveva abbattuto le mura malferme del materialismo. Mediante la filosofia di Bergson, e guidato dalla voce profetica di Bloy aveva trovato Dio. E in quell'estasi calma, si era sforzato di scoprire il mondo nuovo della saggezza e della verità. E ne aveva preso possesso.”.



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