martedì 22 dicembre 2009

LA MINIATURA DEL DUOMO DI MILANO NON È IL WORLD TRADE CENTER


C’è chi vorrebbe paragonare l’11 settembre 2001 a New York all’aggressione a Silvio Berlusconi il 13 dicembre 2009 a Milano.
Folle! Non solo chi ha tirato il souvenir ma anche chi tenta questo accostamento.
Certo, c’è una cosa che si prefigura uguale ed è cogliere l’occasione per restringere le libertà fondamentali e per delegittimare qualsiasi forma di dissenso. Non sono ipotizzabili altre similitudini ma da questo si capisce cosa legava Silvio Berlusconi a George W. Bush: un’idea criminale, l’idea dell’impero.
Non credo di essere, dicendo questo, un fomentatore dell’odio (e in quanto tale messo alla gogna), soltanto dico chiaramente il mio dissenso democratico dalla politica di questo imprenditore meneghino che ci sta imponendo il culto di Cesare, l’imperatore, obbligandoci ad adorarlo come un dio se si vuol vivere con i diritti che la condizione di cittadino italiano dovrebbe riservare normalmente. Non è cosa scontata, Berlusconi opera come se gli italiani fossero solo coloro che lo hanno votato e gli altri, invece, letame.
Dopo il lancio del duomo, il ministro Roberto Maroni (quello a cui è affidato il compito dell’incolumità del presidente del consiglio e che ha miseramente fallito ma si è giustificato benissimo), per non perdere tempo e invece di darsi per penitenza le martellate sugli zebedei (come sarebbe stato giusto) ha deciso di proporre al parlamento italiano un disegno di legge per punire il web e i vari social forum rei di non aver preso troppo sul serio, a detta dei “pretoriani” dell’imperatore, la portata dell’aggressione; e sta decidendo quali provvedimenti prendere per rendere più sicure le piazze ospitanti le manifestazioni, cioè come impedire, possibilmente con l’imposizione di balzelli e attraverso la burocrazia, l’uso delle piazze per manifestazioni politiche e sindacali promosse dall’opposizione sia essa istituzionale o sociale.
Mi chiedo perché non è stato così solerte anche quando sono sorti in internet gruppi a sostegno della mafia o vomitanti ingiurie alla memoria di Falcone e Borsellino o inneggianti all’olocausto e all’odio razziale o incitando alla violenza contro i gay o i rom; e perché non è intervenuto quando è stato recentemente scoperto il sito del Ku Klux Klan in Italia o quando è stato scoperto sul web il giochino razzista contro gli immigrati di quello smidollato del figlio dell’ancor più smidollato capo vichingo Umberto Bossi? Ha forse qualche simpatia per costoro, sono funzionali al progetto suo e del suo capo?

Certo, le parole del “miracolato”, come lo hanno immediatamente definito i suoi (la prossima volta lo chiameranno gesù), nonostante il ripetere pateticamente e pro domo sua la parola amore, non fanno fare nessun passo avanti nella ricerca del dialogo: “Credo che a tutti sia chiaro che se di un presidente del Consiglio si dice che è un corruttore di minorenni, un corruttore di testimoni, uno che uccide la libertà di stampa, che è un mafioso o addirittura uno stragista, un tiranno, è chiaro che in qualche mente labile, e purtroppo ce ne sono in giro parecchie, possa sorgere il convincimento che essere tirannicidi e diventarlo vuol dire essere degli eroi nazionali e fare il bene della propria patria e dei propri concittadini e quindi acquisire un merito e una gloria importante”.
Il pensiero di fare un mea culpa, anche solo sottovoce, non lo sfiora minimamente. La sua ostinazione a pensare che il male si annidi solamente negli altri non omologati al suo pensiero, oltre che dimostrare la sua psicopatia, non permette una riappacificazione del paese. È lui e non altri il dispensatore di odio, a piene mani, scientificamente e sistematicamente: quante parole cariche di disprezzo il presidente e i suoi sgherri hanno seminato nel paese! L’opposizione è solo “miseria, odio e morte”; la lega minaccia di invadere le piazze con i fucili; il bello addormentato Renato Brunetta ha dichiarato di desiderare con forza la morte violenta degli oppositori; gli elettori di sinistra sono tutti “coglioni”; eccetera.

La pacificazione dell’Italia non può e non deve essere un atto unilaterale di una metà del paese, di quella che non vota e non voterà mai il papiminchia; non può essere l’accettazione senza se e senza ma del verbo berlusconiano.



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