Non ha peli sulla lingua il pg di Palermo Daniela Giglio: “Cuffaro era consapevole che la candidatura di Mimmo Miceli alle Regionali del 2001 fosse sponsorizzata e voluta dal boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro. Cuffaro, politico avveduto, non può non essersi posto il problema del rapporto tra Miceli, Aragona e Guttadauro dietro i quali c’era il sostegno della mafia. Informando Miceli dell’esistenza della microspia a casa Guttadauro, Cuffaro non voleva solo tutelare l’amico politico, ma anche se stesso e per evitare rischi nella campagna elettorale”. La Corte d’Appello di Palermo (tutti comunisti?) accoglie le sue tesi e condanna Salvatore (Totò) Cuffaro a 7 anni di carcere per favoreggiamento aggravato a “cosa nostra”.
Vi ricorderete di certo cose successe dopo la sentenza di primo grado del 18 gennaio 2008 che condannava il politico, senatore di primo piano dell’UDC, a 5 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici: offrì, nella sua veste, allora, di presidente della Regione Siciliana, cannoli ai suoi amici giustificando questi assurdi festeggiamenti con la motivazione di non essere stato condannato per favoreggiamento alla mafia.
Il giudizio di secondo grado, quindi, non solo gli aumenta la pena ma aggiunge l’aggravante del “favoreggiamento aggravato alla mafia”.
Niente male per un uomo che afferma di non essere mafioso e di non aver mai favorito la mafia. “So di non aver mai voluto favorire la mafia e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva riconosciuto. Prendo atto però della sentenza della Corte di Appello. In conseguenza di ciò lascio ogni incarico di partito. Mi dedicherò con la serenità che la Madonna mi aiuterà ad avere alla mia famiglia e a difendermi nel processo, fiducioso in un esito di giustizia”. Non lascia tempo in mezzo il segretario dell’UDC Lorenzo Cesa per cercare, pateticamente, di addolcire, almeno moralmente per l’opinione pubblica, la sentenza: “Le dimissioni di Cuffaro da ogni incarico di partito sono sul piano politico più eloquenti di ogni nostra parola”. Un po’ meno ciarliero, e lo si capisce, Pier Ferdinando Casini che se la cava con: “L’addio alla carica un atto doveroso”.
Ma qui sta il trucco: il nostro Totò detto vasa-vasa (per la sua propensione a baciare chiunque si presenti al suo cospetto) ci comunica che lascia ogni incarico di partito. Riflettiamo un attimo: a noi, alla gente comune, non interessa nulla se non parteciperà più all’attività del suo partito, questo è un fatto assolutamente privato e non ha conseguenze per la vita sociale e politica italiana. Ha invece conseguenze addirittura drammatiche se un favoreggiatore di “cosa nostra” continua a essere membro del Senato che è un organo costituzionale della Repubblica Italiana; ma da questa carica non si dimette e la ragione è molto semplice: il Parlamento italiano è diventato, per un condannato in primo o secondo grado o anche per chi ha condanne definitive, un luogo protetto, al riparo da pericoli di carcerazione, è anche il luogo nel quale lo stesso condannato in primo o secondo grado, ma anche chi ha condanne definitive, può votarsi leggi sull’immunità parlamentare e sul giusto impedimento. Insomma, finché resta senatore potrà continuare a fare ciò che ha sempre fatto, come ha confermato, in seconda battuta, la Corte d’Appello di Palermo.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi docet.
Quindi non commuoviamoci per le parole del senatore Cuffaro, chiediamo, piuttosto, che si dimetta immediatamente da parlamentare e sconti, com’è giusto, la sua pena.
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lunedì 25 gennaio 2010
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