sabato 27 marzo 2010

SANTORO E LA DEMOCRAZIA IN CANCRENA

Vi rendete conto? Michele Santoro, volente o nolente, con “raiperunanotte”, una trasmissione televisiva, è diventato il vero capo dell’opposizione al becero dittatore Silvio Berlusconi.
Ha raccolto un mare di persone al Paladozza di Bologna sia dentro che fuori; ne ha raggiunte molte di più nelle piazze organizzate con schermi giganti; ha coinvolto una gran quantità di televisioni locali e molti webnauti hanno passato la serata incollati davanti al computer.
Un successo, credo, superiore alle stesse aspettative del giornalista “capopopolo”.
Tutto questo per dimostrare, e lo voglio dire con forza a Pierluigi Bersani, che la gente, i cittadini, il popolo sono stanchi di essere governati da un contaballe e da un prepotente pornodipendente e che sarebbe facile e anche piacevole contrastarlo e rimandarlo a casa definitivamente. Intanto approfittando di questa tornata elettorale che, pur riguardando le regioni, può contribuire a cambiare il clima del paese: capisco che è dura, che i partiti cosiddetti d’opposizione hanno fatto e fanno poco e che i loro leaders sono piuttosto insipienti ma, datemi retta, turatevi montanellianamente il naso e fate la croce sul simbolo e, se questo proprio non vi riesce (temo che anche a me non riuscirà facilmente), cercate in queste liste “d’opposizione” il candidato che vi pare più presente, più onesto, più umano, meno stuoino e votatelo. Votatelo ora e marcatelo stretto poi, se eletto.
Ritorniamo a Santoro. Con la sua trasmissione corsara e liberatoria, vanno ascritti a suo merito vari eventi, alcuni dei quali meritano menzione.
Intanto nel suo parterre ha riunito una serie di professionisti, di zebedei dotati (per intenderci non i tanti brunivespa minzolinati), professionisti dell’informazione e dello spettacolo (si possono dire, e così è stato, cose molte serie anche con un comico o una canzone); li cito a memoria: Giovanni Floris, Gad Lerner, Roberto Benigni, Teresa Desio, Cornacchione, Elio e le storie tese, Daniele Luttazzi, Antonello Venditti, Nicola Piovani, Mario Monicelli.
Ha avuto il coraggio politico di mostrare, con immagini assolutamente e drammaticamente eloquenti, l’analogia reale tra Benitone e Silvietto (certo Mussolini non avrebbe mai fatto la figura da buffone che ha fatto il novello dux sabato scorso nella semivuota piazza San Giovanni): non ho evitato un brivido lungo la schiena.
Ha permesso a tutti noi di ascoltare i nauseabondi colloqui telefonici tra il presidente del consiglio (che dovrebbe essere il presidente di tutti, rossi, neri, bianchi o gialli), il prono retrospalancato commissario Agcom Giancarlo Innocenzi e nientemeno che il direttore generale della Rai Mauro Masi, ora detto il “sicario” poiché, dopo la trasmissione corsara, ha chiesto ufficialmente, per conto del suo padrone, il licenziamento di Michele Santoro. Con questi colloqui telefonici, ci siamo resi conto di cosa succede sopra le nostre teste, come tutto venga manipolato e ricondotto all’interesse particolare a danno dell’interesse pubblico, come le istituzioni pubbliche siano occupate da persone senza dignità (mancanti degli zebedei sopra citati) che si fanno “cazziare” dal potente di turno. Una vera infamia. Per non parlare del conflitto d’interessi.
Io non credo che Michele Santoro voglia continuare a fare il “capopopolo”, lui fa di mestiere il giornalista, ma ha voluto dirci e dire ai politici, quelli non ancora proni, che in Italia la democrazia è agli sgoccioli e che bisogna fare presto prima che vada in cancrena e diventi cadavere. Ha voluto dire anche che non tutti si sono dimenticati di possedere, e quindi di usare, il cervello, anzi, a chiamata pronta risposta (anche le manifestazioni del “popolo viola” ne sono un esempio).
Cosa si aspetta ancora?


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giovedì 25 marzo 2010

UN’IMMONDA CAMPAGNA ELETTORALE

Questa campagna elettorale rimarrà nella memoria come la più immonda che la repubblica italiana abbia mai subito. Immonda perché chi ci governa, il porno-gerarca Silvio Berlusconi e la sua cricca, non perde occasione per ridurre a sterco tutto ciò che tocca (un re Mida al contrario) e umiliare, con le sue compiaciute puttanate, la sacralità dell’uomo. Non lo si può più definire, il papiminchia, solamente un avversario politico, ora è da considerare un nemico: le leggi ad personam e gli attacchi alla magistratura, il bavaglio all’informazione, le riforme non fatte, la distruzione sistematica delle istituzioni pubbliche, le bugie agli italiani, e potremmo continuare all’infinito.
Ciò che mi interessa questa mattina è proporvi due modi di affrontare questo disgraziato e drammatico momento.

Voglio lasciare la “parola” a un giovane universitario, Nicolò Ferrari, che non ha ancora perso il senso dello stato e della società, meglio, la convinzione (che condivido) che l’uomo è il fine di tutto, anche della politica. Ci vuol dire, così voglio interpretare, che non è giusto deporre le “armi” di fronte a questo immondezzaio ma che occorre, con fiducia, continuare a combattere. L’ho letto sul blog nessundorma.

Mi rivolgo a quei 369 coraggiosi che alle ultime elezioni comunali hanno deciso di votare la lista “i Giovani” e a chi ha seguito il nostro lavoro culturale e politico nell’ultimo anno; soprattutto nelle Università e tra gli studenti. Le difficoltà per presentarsi alle elezioni regionali superano le risorse dei Giovani e, non potendo contare sull’aiuto di decreti appositamente approvati per noi, in un sistema dove i “piccoli” sono ostacolati a crescere, non siamo riusciti a presentarci nuovamente. La “democrazia” e la “libertà” ci stanno a cuore; vogliamo difenderla dall’abuso e dall’inganno in cui oggi sono state trascinate. In questo quadro, non ci si può sottrarre al voto e perciò, tra i candidati delle diverse formazioni, ho deciso di sostenere Matteo Riva dell’Italia dei Valori. Non è segreta l’amicizia che ci lega e la stima che ho per il suo operare politico. Il suo impegno per il pluralismo e la pace lo accomunano al nostro programma che seppur giovani, poveri e poco appariscenti, non abbiamo disertato.
Nicolò Ferrari

Il secondo contributo è di Paolo Farinella (del quale ho già pubblicato, il 18 ottobre 2009, una lettera denuncia), un prete che dice al suo Cardinale e alla Chiesa di smetterla di fare da zerbini e portaborse all’incivile Berlusconi. È così chiara e puntuale che non ha bisogno di commenti.

Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, si complimenta con il Papa per la lettera agli Irlandesi sui preti pedofili: Benedetto XVI «è chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della religione cristiana». Poverino! non riesce a pronunciare la parola «pedofilia». Si è sforzato, ma non ci riesce perché dovrebbe parlare di «sessualità scomposta» e abnorme perpetrata in luoghi e sedi istituzionali, esattamente come ha fatto lui, a dispetto e dileggio di quella morale cattolica di cui ogni giorno fa i gargarismi in pubblico, mentre in privato ne fa strage. Non può parlare di «sesso», lui che, mentre inneggia «alla sostanza stessa della religione cristiana», frequenta prostitute a pagamento dietro compenso in denaro e in posti in parlamento o al governo e dalla moglie è condotto in giudizio per separazione per colpa. Scrive al Papa perché, da ruffiano qual è, vuole ingraziarselo.
Qual è il significato di questa lettera insulsa, senza senso, ridicola e immotivata? Io penso che voglia cavalcare il momento di difficoltà del Vaticano, criticato da larghissima parte della Chiesa che ha valutato la lettera agli Irlandesi inadeguata, insufficiente, scontata. Dopo il fallimento del raduno di Roma con precari pagati a cento euro cadauno, il debosciato ha bisogno di ricrearsi una verginità formale e vuole fare sapere al mondo intero che egli sta dalla parte del Vaticano, sempre e comunque. L’immondo travestito da agnello.
Ancora una volta assistiamo alla strumentalizzazione di un momento tragico e doloroso della Chiesa con responsabilità oggettive di papa Ratzinger e contorno e il Caimano ne approfitta subito per fare una genuflessione oscena ad uso personale, perché il fantoccio di uomo non sa vedere altro che usi personali, addomesticati alla sua bisogna. La lettera al papa, opportunamente divulgata, è una forma di propaganda elettorale verso quell’elettorato debole cattolico che si lascerà incantare da questo tronfio e immondo pifferaio e sul quale è piombato come un elefante in una cristalleria il cardinale Angelo Bagnasco.
Il tocco finale, da lupanare, è il riferimento all’efficacia della lettera dovuta secondo lui alla «umiltà e sincerità unita alla chiarezza delle ragioni che il Papa mette in campo». Riguardo all’umiltà, Berluskoniev è un maestro impareggiabile: umile, mite, altruista e, quello che più conta, fondatore del partito dell’amore a pagamento e delle prostitute affittate «a carrettate», con i cattolici che tengono bordone e reggono il moccolo.
Non era ancora arrivata in Vaticano la lettera di Berluskoniev che già nello stesso giorno, si sentiva il controcanto del cardinale. Bagnasco al consiglio permanente della Cei. Egli con tempestività programmata degna di ben altre battaglie, a pochi giorni del voto, parla con il solito linguaggio aulico a supporto del governo e delle formazioni regionali di destra. Si direbbe che più della inesistenza di Dio, la Cei tema la vittoria della sinistra o di quella che ci si ostina a chiamare sinistra. L’attacco frontale all’aborto come materia discriminante delle elezioni regionali è indebita, immorale e indecente. L’aborto è previsto da una legge dello Stato: cosa c’entrano le regioni? L’uscita di Bagnasco è calcolata e mira ad essere una diretta fucilata ad Emma Bonino e a Mercedes Bresso in Piemonte. Per la proprietà transitiva chi attacca Bonino e Bresso, appoggiate dal Pd, appoggia il Pdl che è contro il Pd. Povera gerarchia, ridotta a giocare questi mezzucci pur di vincere la Regione Lazio! Se una donna fa così paura, cosa farebbe un esercito di donne? Scrive il cardinale: «Sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare … C’è una linea consolidata che … insieme a Benedetto XVI, chiamiamo «valori non negoziabili: … la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna» (Card. Angelo Bagnasco, presidente Cei, «Prolusione al consiglio permanente del 22-25 marzo 2010, n. 8).
Si può anche essere d’accordo su alcuni aspetti, ma perché proprio, in piena feroce campagna elettorale? Puro caso? C’è forse una relazione o un accordo preventivo tra la lettera di Berlusconi e la prolusione di Bagnasco? I brutti pensieri fanno temere di sì. Se così fosse, sarebbe grave e si conferma la strategia clericale di una alleanza «a prescindere» con il governo Berlusconi; così come si rafforza il sospetto che il silenzio tombale della presidenza della Cei, lo scorso anno, durante la teoria di scandali, personali e istituzionali, perpetrati da Berlusconi, sia stato il prezzo pagato sull’altare della «disonesta ricchezza» pur di tenere in vita un sostegno reciproco, Berlusconi/Vaticano-Cei anche a costo della morale, della verità, della divisione all’interno della Chiesa italiana, anche a costo del sacrificio di innocenti come il povero Dino Boffo.
Al card. Bagnasco risponde indirettamente alcuni giorni prima, quasi prevenendolo, Mons. Luigi Bettazzi che nell’editoriale «Principi non rinunciabili» di Mosaico di Pace (marzo 2010), annovera tra i «principi non negoziabili» tanto cari alla gerarchia ecclesiastica, anche il «bene comune» e i valori «della sincerità e della sobrietà, della legalità e della solidarietà»; così come tra quelli negativi ascrive: l’idolo della ricchezza in funzione del potere, il potere stesso, il permissivismo sociale e l’interesse privato e il fine che giustifica i mezzi.
Il card. Bagnasco, poi, continua: «Dinanzi a quel che va emergendo ad opera della Magistratura, noi Vescovi ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli incatenamenti prodotti dall’egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul piano della politica vera. Questa è liberazione dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto … e innanzitutto la sua dignità di cittadino … al di fuori della morbosità per un certo accaparramento personale, si recuperi il senso di quello che è pubblico, che vuol dire di tutti e di cui nessuno deve approfittare causando grave scandalo dei cittadini comuni, di chi vive del proprio stipendio o della propria pensione ed è abituato a farseli bastare, stagione dopo stagione. C’è un impegno che … non può non riguardare tutti, politici e cittadini …: mettere fine a quella falsa indulgenza secondo la quale, poiché tutti sembrano rubare, ciascuno si ritiene autorizzato a sua volta a farlo senza più scrupoli. Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, non si attenuerebbe l’imperativo dell’onestà. Non cerchiamo alibi preventivi né coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare di meno; semmai sarebbe un rubare di più. Per i credenti questo obbligo assurge alla dignità di comando del Signore, dunque non si può venir meno» (Ibid. n. 9).
Come non essere d’accordo? Anche le pietre lo sono. Perché l’aborto deve essere criterio di valutazione elettorale il furto no? Non è un comandamento esplicito anch’esso? Come può il cardinale Bagnasco mettere d’accordo queste parole con il programma, le promesse mai mantenute e le realizzazioni delittuose del governo Berlusconi? Alla luce della parola del cardinale, non si dovrebbe come primo effetto immediato scomunicare l’operato del governo e della sua maggioranza che per disgrazia opprime l’Italia e tutti i cattolici che lo sostengono? Si rende conto il cardinale Bagnasco che il fondatore del partito dell’amore è un frequentatore abituale di minorenni e prostitute e un ladro di professione? Sa il presidente della Cei che Berlusconi ha candidato uomini appartenenti alle diverse mafie, senza distinzione di sorta? E’ a conoscenza il porporato che non meno di 26 inquisiti siedono in parlamento nelle fila del partito che difende «i principi non negoziabili»?
Lo sa che sono oltre trenta le leggi che Berlusconi ha imposto al parlamento a suo favore e della sua cricca e delle sue due famiglie? Perché sua eminenza non fa nomi e cognomi di chi ruba, di chi delinque, di chi corrompe, di chi si lascia corrompere? Si rende conto che il papa ha ricevuto Bertolaso nel momento stesso in cui lo convocava la magistratura della repubblica per chiedergli conto della corruzione di cui è sospettato di essere artefice, beneficiario, mandante e controllore a danno e sulla pelle dei terremotati dell’Abruzzi, il cui vescovo, Molinari, è uso fare da scendiletto a Berlusconi? Signor Cardinale perché lei ha taciuto per tutto l’anno quando tutto il mondo accusava Berlusconi di immoralità istituzionale e non solo per l’uso indiscriminato di prostitute e forse di droga, mentre oggi interviene, lesto come un fulmine, il giorno dopo la manifestazione/farsa del Pdl e una settimana prima delle elezioni e per buon peso, nello stesso giorno in cui Berlusconi solidarizza col Papa in materia di pedofilia? Forse perché lui è esperto anche in materia? Lo avete assunto come consulente etico della Cei?
Signor Cardinale, la prego, ascolti quello che le dico:
Io Paolo Farinella, prete della Chiesa cattolica, affermo con piena avvertenza e informata coscienza che ritengo peccato grave votare chiunque stia dalla parte di Berlusconi perché incompatibile con i principi del Vangelo, della dottrina sociale della Chiesa, della morale cattolica e della dignità civile. E’ un delitto, di cui rispondere davanti alla propria coscienza e a Dio votare per chi conculca i diritti dei poveri, senza differenza di cittadinanza, di chi incita all’odio razziale, di chi corrompe testimoni in tribunale e giudici per avere sentenze a suo favore, di chi compra senatori prezzolati per fare cadere governi democratici, di chi evade il fisco e incita ad evadere, di chi assalta le istituzioni di garanzia, di chi vara leggi a favore suo e della sua azienda, di chi non ha parvenza di morale e vive in modo oscenamente ricco, rubando sulla povertà dei poveri, di chi sperpera denaro pubblico pur di esaltare il culto della propria personalità (v. La Maddalena).
Io Paolo prete, cittadino sovrano residente in Liguria, in forza del criterio del bene comune e del rispetto dei diritti individuali, voterò Alessandra Ballerini, di professione avvocato degli ultimi e dei poveri che si batte per i diritti di tutti e che si presenta con una lista collegata a quella di Burlando Claudio del Pd.
Se votassi in Lazio o in Piemonte non esiterei a votare Bonino o Bresso e auguro all’Italia che Berlusconi e la sua compagnia teatrante siano sconfitti. Faccio gli auguri alla Bonino e alla Bresso, perché, anche se non mi piacciono su tanti punti, possano vincere democraticamente e possano portare un vero «rinascimento laico» nelle loro Regioni, specialmente nel campo della sanità e della scuola. Sui problemi etici ci confronteremo apertamente, lealmente, democraticamente, senza interferenze e confusioni tra altare e seggio regionale. Che Dio protegga l’Italia e le sue Regioni dalla peste del berlusconismo e dalla miopia della gerarchia cattolica.
don Paolo Farinella



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lunedì 22 marzo 2010

IL MALE IN CARNE E OSSA. E CI GOVERNA

La questione si ingarbuglia sempre più e al cittadino, quale io sono, non è dato capire cosa veramente stia succedendo e cosa, eventualmente, poter fare per tornare a rendere quest’Italia presentabile e, cosa che mi interessa di più, vivibile.
Sulla questione riguardanti la Procura di Trani e le relative intercettazioni, Silvio Berlusconi rivolta la frittata e ci comunica, sbraitando e battendo i pugni (faccio una sintesi) che è suo dovere, per la funzione che svolge, parlare con chicchessia e imporre d’autorità la sua decisione, anche se è contro la legge.
Sull’esclusione della lista PDL a Roma, nonostante che una molteplicità di organi di giudizio l’abbiano confermato, quel filibustiere del capo del governo ha tuonato gridando contro i giudici bolscevichi perché hanno applicato le leggi vigenti.
Sempre lui, con gli occhi fuori dalle orbite per la bile, ha annunciato che farà delle riforme che lasceranno il segno: il presidenzialismo, la riforma delle tasse (noi del popolo la chiamiamo così) e non so quale altra diavoleria. Ma sappiamo che parla molto e non combina nulla per il Paese, non si può dire lo stesso per i suoi affari. In questi due anni, con i parlamentari che ha, avrebbe avuto modo di “scaravoltare” il mondo e invece ha giocato a rimpiattino con i giudici e i pubblici ministeri comunisti.
Forse invidioso del successo della manifestazione di piazza del Partito democratico, avvenuta il 13 marzo, si inventa una sua manifestazione (contro chi? contro se stesso?) per la settimana successiva, con quale risultato? Elenco alcune brevissime considerazioni tanto per confermare la mia disistima per questo saltimbanco della politica e per tutti i suoi sodali. La partecipazione popolare è stata molto inferiore rispetto a quella del 2 dicembre 2006 e alle più recenti aspettative, pur considerando che parte dei presenti è stata pagata per presenziare alla kermesse filo-regime. Lo ha detto persino Giuseppe Caruso, il questore di Roma, il quale, per inciso, ha così concluso “ignominiosamente” la sua carriera, come ha affermato con il solito livore quel fascista doc di Maurizio Gasparri: “Confermiamo pesanti riserve sul comportamento del questore, peraltro deludente su tutti i fronti” e ancora “Per lui sono pronte sorprese clamorose. I suoi pasticci faranno scalpore”. Perfetto stile squadrista.
E le domande rivole dal dux al popolo destrorso presente a bocca aperta sotto il palco e che rispondeva a monosillabi, con un corale no, non vi hanno fatto venire a mente piazza Venezia e l’espressione facciale di Benito Mussolini? Il giuramento, poi, dei candidati governatori regionali è stato il colpo di grazia: nemmeno all’asilo nido si fanno recitare le poesie in quel modo; e pensare che questi dovrebbero governarci!
Avrete certamente appuntato anche il fatto che, durante la manifestazione, nessun discorso “politico” è stato lanciato ma solo recriminazione e ostilità contro giudici e oppositori, alla faccia del mieloso slogan: “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” che in bocca al papiminchia equivale a una bestemmia o a un’oscenità.
Da ultimo, in altra manifestazione di ieri a Bologna, per la presentazione della candidata PDL alla presidenza della Regione, il nostro Silvio, con tono questa volta pacato, all’invito del (troppo)mite Pierluigi Bersani di un pubblico faccia faccia su temi politici, risponde: “Non credo sia opportuno fare un confronto televisivo con il capo dell’opposizione, perché le sue dichiarazioni quotidiane nei nostri confronti ci hanno fatto perdere la fiducia che si possa arrivare a un interscambio produttivo e basato sulla realtà”.
Balle! Non c’è bisogno di tradurre il papipensiero, è fin troppo evidente che Berlusconi ama solo i suoi monologhi e ha paura di duellare con Bersani, non perché gli manchi la parola, anzi la sua logorrèa è patologica, ma perché non ha nulla di politico da dire, non è competente in nulla se non nei suoi affari,  loschi, come ci farebbero capire le varie inchieste aperte sulla sua persona.
Debbo tuttavia continuare a chiedermi com’è possibile che, nonostante queste allarmanti vicende, ci sia ancora un “popolo” che gli rende omaggio e sventola le sue bandiere, gli tocca la giacca sperando in qualche miracolo o ripristinerebbe volentieri persino lo jus primae noctis.
Siamo davvero così rincoglioniti che non vediamo il male nemmeno quando si manifesta con un’evidenza assoluta.



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martedì 16 marzo 2010

PAR CONDICIO: ANNOZERO “NON S’HA DA FARE, NÉ DOMANI, NÉ MAI”

- Signor curato, - disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia. - Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
- Lei ha intenzione, - proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
- Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.
- Or bene, - gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.


Se a qualcuno, leggendo questa magnifica e attualissima pagina dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, venisse in mente di sostituire la figura di don Abbondio con quella del tenero, pacioso, pio, poeta, ministro per caso o servo (così lo ha definito Luigi De Magistris, parlamentare europeo) Sandro Bondi commetterebbe un grave errore interpretativo, il levitante ministro è dalla parte di don Rodrigo, e, anche in questo caso, il governo dovrebbe attivarsi per un urgentissimo e, appunto, interpretativo decreto legge. Uno in più, uno in meno: che differenza fa?
Ho dovuto ripescare questo brano, prima nella memoria e poi andandomelo a rileggere, quando ieri sera il telegiornale (non quello minzoliniano che non guardo più da quando mia moglie mi ha diffidato dal continuare a vomitare sul tappeto nuovo del salotto) ha dato la notizia che, nonostante la decisione del TAR che ha accolto il ricorso di Sky e La7, contro il regolamento dell’Autorità di garanzia che per una strana “par condicio” rendeva impossibile l’informazione politica, il consiglio di amministrazione della Rai ha confermato la chiusura in campagna elettorale dei talk show politici: Annozero “non s’ha da fare, né domani, né mai”.
Conseguenza: la televisione privata, quasi completamente in mano al don-rodrigo Silvio Berlusconi, potrà informare, ovviamente in linea con l’editore, mentre la televisione cosiddetta pubblica, quella pagata dai cittadini, non potrà farlo.
Tutto questo è funzionale al fastidio che alcune trasmissioni arrecano alle sensibili orecchie del premier, tutto questo è funzionale al disegno politico del più desolante e pericoloso personaggio istituzionale della storia d’Italia, peggio dei re savoiardi o del conte Benso o del Benitone nazionale: la sua mission è svuotare le coscienze, asservirle pro domo sua, manipolarle per i suoi interessi economici e per alimentare la sua autostima, drogarle del nulla per ottenerne il consenso.
Lo dimostra ciò che sta emergendo dalla Procura di Trani e dalle intercettazioni apparse sulla stampa; infatti, non gli basta più il telegiornale del prono Augusto Minzolini (cresciuto alla scuola emiliofediana) ma arriva al consigliere dell’Agcom Giancarlo Innocenzi perché le trasmissioni “Annozero” di Michele Santoro e “Parla con me” di Serena Dandini chiudano i battenti giacché non si accodano al coro osannante del tiranno. Pare, inoltre, che in tutta questa incivile situazione sia coinvolto anche un membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Complimenti.
Se prima erano illazioni di stampa, ora sembra ufficiale: Silvio Berlusconi è indagato per concussione e, cosa assai più grave, per “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”, reati compiuti ai danni dell’ufficio del Garante per le Comunicazioni. Oltre a lui, sarebbero indagati sia Giancarlo Innocenzi, (accusato di favoreggiamento personale in relazione alle dichiarazioni fatte agli investigatori con le quali avrebbe negato di aver ricevuto pressioni dal premier per chiudere Annozero) sia Augusto Minzolini (per aver rivelato il contenuto dell’audizione a cui era stato sottoposto a Trani come testimone).
Indovinate cosa fa il nostro primo indagato e martire. Rilascia una dichiarazione: “Sono scandalizzato perché a Trani ci sono state palesi violazioni di legge: è una iniziativa grottesca che non mi preoccupa affatto. È un diritto del presidente del Consiglio di parlare al telefono con chiunque senza essere intercettato surrettiziamente come è avvenuto qui”.
Capite? Lo scandalizzato è lui e non noi! Lui è già in grado, addirittura prima dell’incredibile ispezione ordinata dal devoto e in carriera Angelino Alfano (uno dei due “bravi” manzoniani), di affermare che la legge è stata violata, è in grado di giudicare chi lo deve giudicare; poi, con la tracotanza del despota, ci propina un offensivo “menefrego”, il presidente fa ciò che gli pare.
Al “menefrego” rispondiamo con un “vaffanculo” (scusatemi, ma quando ci vuole, ci vuole): riprendiamoci le piazze (anche a dispetto del cattolicissimo, ruinianissimo e plurifamiliare Pierferdinando Casini) e lavoriamo a testa bassa per vincere le elezioni regionali e subito dopo diamoci un appuntamento per fare il punto della situazione.
Occorre un potente antidoto contro il veleno berlusconiano.



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sabato 13 marzo 2010

A ME LA RAI. CRONACA DI CONFLITTO D’INTERESSE E DI LESA LIBERTÀ

Se il quotidiano “Il Fatto” ci riferisce di telefonate intercettate nelle quali emerge in modo evidente un comportamento delinquenziale (anche se probabilmente senza rilevanza penale) del primo ministro italiano Silvio Berlusconi (la quarta carica dello stato) e di due suoi lacchè che occupano posti di primo piano nella cerchia di coloro che, per il mestiere che fanno e per i soldi che prendono, dovrebbero essere i paladini della libertà e della democrazia, immagino che non se lo sia inventato.
Tanto per conoscere i personaggi di cui parliamo, a parte l’autocrate Silvio, che già conosciamo per le sue malefatte e che subiamo perché ci mancano ancora i “liberatori” (speriamo nelle elezioni regionali), i co-protagonisti sono il mefitico Augusto Minzolini (per gli amici intimi, Minchiolini), direttore del TG1 della Rai noto, appunto, per i suoi minchia-sproloqui televisivi arcoreguidati e nientemeno che Giancarlo Innocenzi, commissario dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ed ex deputato PDL.
Sempre secondo “Il Fatto”, il presidente del Consiglio non ne può più dei vari Michele Santoro, Giovanni Floris, Serena Dandini (e tutti gli altri che non cito per questioni di spazio e di tempo) che non la smettono di coinvolgerlo, povero martire, nel processo Mills e nella trattativa Stato-Cosa Nostra e continuano a dare spazio a Ezio Mauro, direttore di Repubblica o a Eugenio Scalfari oltre che a Marco Travaglio. Cosa fa? Prende il telefono, cribbio, cerca Innocenzi e gli intima di trovare il modo, come Agcom, di chiudere quegli indecenti pollai di “Annozero” e “Ballarò”. Al nostro indipendentissimo lacchè, esaltato per la telefonata del capo, non par vero, come ci dice sempre il quotidiano menzionato, di mostrare i suoi muscoli cerebrali (si fa per dire, ovviamente) e propone esposti contro Santoro da far firmare a qualche vicelacché e garantisce un intervento come dio comanda sul direttore del TG1. Un organo dello Stato, qual è l’Agcom, si mette al servizio di un politico (in questo caso non è l’istituzione presidente del Consiglio) e lo asseconda in un atto oltre che arrogante anche anticostituzionale e antidemocratico, cioè criminale.
La cosa non si ferma qui. Sempre il papi, alza ancora la cornetta e chiama l’altro campione di democrazia e di libertà il “direttorissimo” (così sembra che lo chiami nell’intimità) Minchiolini il quale non se lo fa dire due volte: da direttore previdente ha già pronti degli “speciali” da mandare in onda sulla rete ammiraglia della Rai e bombardare così le postazioni del nemico comunista.
Ho riassunto, in poche parole e a modo mio, quanto denunciato dal quotidiano e faccio mio il giudizio finale dell’articolo “Così Berlusconi ordinò: Chiudete Annozero”:
Le parole di Berlusconi che, mentre è capo del Governo e capo di Mediaset, parla da capo anche a chi non dovrebbe, Giancarlo Innocenzi, dimostrano che viene meno la separazione tra i due poteri. Altrettanto si può dire delle parole deferenti di Innocenzi che anziché declinare gli inviti esibisce telefonicamente la propria obbedienza e rassicura Berlusconi … La notizia più interessante, però, è un’altra: il ‘regime’ è stato trascritto. In migliaia di pagine. Trasuda dai brogliacci delle intercettazioni telefoniche. Parla le parole del “presidente”. Il territorio di conquista è la Rai: il conflitto d’interesse del premier Silvio Berlusconi – grazie a questi atti d’indagine - è oggi un fatto ‘provato’. Non è più discutibile.”.

Le dimissioni dei tre dovrebbero essere il primo atto di giustizia. Specialmente per il grande capo al quale ricordo le sue stesse parole apparse sul Corriere della Sera del 2 aprile 2008: “Se vengo ancora intercettato ed escono le registrazioni, lascio l’Italia”.
Sei stato intercettato in un’inchiesta della Procura di Trani (anch’essi note carogne comuniste!) e le intercettazioni sono uscite sulla stampa: cosa aspetti a mostrare la tua coerenza? Vattene, lasciaci marcire nei nostri escrementi: ci sembrerà di rinascere.




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venerdì 12 marzo 2010

GIORGIO HA AVUTO PAURA DEL TIRANNO?

Più ci penso e più l’irritazione monta. Devo riparlarne, scusatemi.
Non c’è una ragionevole motivazione perché il capo dello Stato abbia firmato il delinquenziale decreto-legge-salva-lista-PDL-alla-faccia-della-legge. Persino il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi insorge, con una grinta inedita, e bacchetta sulle dita (doveva bacchettare un po’ più in basso) il presidente in carica Giorgio Napolitano definendo il suo via libera alla porcata istituzionale “un aberrante episodio di torsione del sistema democratico”. Che, tradotto, vuol dire: caro presidente, da garante della Carta costituzionale ti sei volontariamente trasformato in garante della carta igienica (morbida da una parte e morbidissima dall’altra). Il decreto, infatti, è errato per almeno due motivi. Il primo: con il decreto il governo interviene su una materia di competenza delle Regioni e questo la Costituzione non lo permette; il secondo: la legge è uguale per tutti anche per quel bugiardo di Silvio Berlusconi che, con una faccia di bronzo mai vista in tutta la storia d’Italia, e anche la preistoria, non si assume direttamente la colpa del pasticciaccio delle liste romane e milanesi ma, da buon infame quale egli è, cerca di attribuire ad altri il fallo (cosa avete capito, nel senso di errore?).
La soluzione giusta, democratica, costituzionale e secondo la legge, sarebbe stata quella di andare alle elezioni con quei partiti che hanno ottemperato in maniera giusta alle regole che la legge elettorale impone da sempre. Punto e basta. Niente leggi ad personam o ad “listam”. Chi ha sbagliato vada a lezioni private e ripeta l’anno (se questa regola viene applicata ai nostri figli, perché non dovrebbe essere applicata anche a quelle teste di legno – mi sono autocensurato - che, pur pagati con denaro pubblico, non sono capaci di mettere assieme quattro fogli e quattro firme?).
Ma se proprio si fosse voluto fare i buoni nei confronti del plurinquisito papiminchia, dell’ex sindacalista nostalgica Renata Polverini e del reuccio filo-becero-leghista e ciellino Roberto Formigoni, forse una soluzione condivisa (da tutti, ovviamente) e non costituzionalmente pasticciata la si poteva trovare: per esempio rinviando la consultazione elettorale, ma a condizione tassativa che il PDL riconoscesse, di fronte al Paese e al Parlamento, di aver commesso un grave errore e chiedesse pubblicamente scusa agli elettori.
Perché il pavido (con rispetto parlando) Napolitano non ha percorso questa strada e ha preferito dare l’avvallo alla violenza e all’arroganza di questo disgraziatissimo governo controfirmando un decreto incostituzionale?
Forse si giustifica facendo ricorso alla meschina tiritera della scelta del male minore: a voi sembra che massacrare le leggi e le regole della convivenza civile sia il male minore?

Il male minore, al punto in cui siamo (avete certamente seguito la recente conferenza stampa di Berlusconi e l’azione dello squadrista Ignazio La Russa) è rimuovere definitivamente il tiranno.
Ma forse il garante della Costituzione non può.
Perché non può?



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giovedì 11 marzo 2010

AFFAMATI DI DEMOCRAZIA E DI LIBERTÀ. QUELLA VERA.

Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi “governare”, senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti. Non è forse vero che ogni tedesco onesto prova vergogna per il suo governo? E chi di noi prevede l’onta che verrà su di noi e sui nostri figli, quando un giorno cadrà il velo dai nostri occhi e verranno alla luce i crimini più orrendi, che superano infinitamente ogni misura? (…)

“Tutto questo lo sappiamo già da tempo e non è necessario che ce lo rammentiate continuamente” Ma vi domando: se lo sapete, perché non reagite, perché tollerate che questi tiranni vi spoglino progressivamente, in modo aperto o velato, di un diritto dopo l’altro, fino a quando un giorno non rimarrà più nulla, null’altro che una macchina statale comandata da criminali e ubriaconi?

È già così vinto dalla violenza il vostro spirito da farvi dimenticare che non è soltanto vostro diritto, ma anche vostro dovere morale rovesciare questo sistema? Ma se un uomo non ha più la forza di reclamare i propri diritti, allora sì che egli deve inevitabilmente perire. Meriteremmo di essere dispersi per il mondo, come polvere al vento, se non ci sollevassimo in questa ultima ora, ritrovando finalmente il coraggio che ci è mancato fino ad oggi. Non nascondete la vostra viltà sotto il velo della prudenza. Ogni giorno in cui indugiate ad opporvi a questo mostro infernale, aumenta sempre più, come una curva parabolica, la vostra colpa.

Molti, forse la maggior parte dei lettori di questi volantini, non sanno con esattezza in che modo potrebbero fare resistenza. Non ne vedono alcuna possibilità. Cercheremo di dimostrare loro che ciascuno può contribuire alla caduta di questo regime. Non sarà certo possibile preparare il terreno per il rovesciamento di questo “governo”, mediante una resistenza individuale, da solitari amareggiati, e tantomeno si potrà in tal modo affrettarne la caduta (…)

Vi è forse, chiedo a te che sei cristiano, in questa lotta per mantenere i tuoi beni più preziosi, una possibilità di esitare, di trastullarsi con intrighi, di rimandare la decisione in attesa che altri prendano le armi per difenderti? Non ti ha forse Dio stesso dato la forza ed il coraggio per combattere? 



Queste parole sono tratte dai volantini redatti e distribuiti da un gruppo di studenti cristiani, La Rosa Bianca (Die Weiße Rose), che si oppose al regime della Germania nazista negli anni ‘42 e ’43 dando vita a un “movimento di resistenza” in Germania.
Ora, alle parole sopra riportate togliete per un momento i riferimenti al nazismo e alla Germania e al loro posto appiccicate il volto e le malefatte di Silvio Berlusconi e il pecorismo, speriamo inconsapevole ma non incolpevole, di buona parte del popolo telecomandato italiano.
Non trovate che sia ancora assolutamente attuale, pertinente, profetico e drammatico?
Non trovate che abbiamo già pagato abbastanza in termini di democrazia?
Non trovate che occorre porre un argine alla demolizione del convivere civile?
Non trovate che è insopportabile essere ancora governati e schiavizzati da un immorale e da un ciarlatano?
Il coraggio dei giovani della Rosa Bianca, dovrebbe aiutarci oggi a comprendere la drammaticità del momento e a iniziare un vero lavoro politico perché l’Italia torni a essere un paese normale.





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lunedì 8 marzo 2010

MALATI DI RASSEGNAZIONE. IL GOLPE GOVERNATIVO

Sono stato fuori casa due giorni e non ho voluto né leggere giornali, né navigare nel web, né guardare i telegiornali minzoliani. Ho sbagliato e me ne pento, mi sono fatto prendere dallo sconforto.
Nel frattempo, mentre sceglievo di abdicare, seppur temporaneamente, alla mia funzione di cittadino responsabile e maturo, si è consumato un fatto delittuoso per la Repubblica italiana il cui “assassino” può essere identificato nell’attuale presidente del Consiglio il macho Silvio Berlusconi contornato e aiutato da numerosi e interessati correi, abitanti nei palazzi della politica e sui più alti colli dell’Urbe e, perché no, anche di là dal Tevere: tutta gente con la testa sulle spalle, che ha operato per la “democrazia” e contro la burocrazia, per la sostanza anziché per la forma. Persino il simbolo della garanzia morale e politica del Paese ha coperto questo sfregio alla libertà e alla democrazia con la propria firma e non vado oltre per non finire in galera per vilipendio. Venerdì, di notte come succede per i ladri e gli assassini, è andato in scena il fattaccio: il governo confeziona un decreto salva PDL (poiché non ha salvato nessuna delle altre liste di altre formazioni politiche, escluse per vizi di forma, dalla competizione elettorale) e il capo dello stato, Giorgio Napolitano, controfirma. Ed ecco a voi il garante della legge e della Costituzione.
Se il “reo confesso” è Silvio Berlusconi e il “palo” è Giorgio Napolitano, il movente è il mantenimento del potere a tutti i costi, nemmeno autogiustificato come bene per il “popolo” ma chiaramente motivato per la fortuna personale del duce di Arcore. Se posso permettermi un esempio figurato, un po’ truce, io immagino questa situazione come una pecora macellata (la povera Italia) la cui carogna è abbandonata in una zona desertica subsahariana (l’attuale immorale e arida e improduttiva politica italiana), azzannata e sbranata da un branco di iene affamate (i parlamentari inetti, razzisti e fascisti), guidati da una iena capobranco (il plurinquisito papimichia), con il colpevole avallo del guardiano del gregge al quale hanno ucciso la pecora (l’altro presidente, sempre con rispetto parlando).
Di fronte a tutto questo, si sono levate poche voci di dissenso reale, forse il popolo viola è il più sincero, ma non altrettanto si può dire del timido popolo del Partito Democratico. Antonio Di Pietro è l’unico che parla apertamente di impeachment per il capo dello Stato e, a rigor di logica, non avrebbe torto essendo stata calpestata la funzione di super partes propria del presidente della Repubblica.
Ciò che io vedo nella gente, e ho visto anche in me nei due giorni di volontario black out dall’informazione, è una sorta di muta accettazione di ciò che ci fanno accadere attorno, come se noi fossimo spettatori occasionali di eventi altrui e non invece i diretti destinatari delle turpitudini del branco di iene sopra citato.

Che si tratti di malattia?
Sì, siamo malati di rassegnazione.








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mercoledì 3 marzo 2010

GLI SCHIFANI E GLI SCHIFATI

Il presidente del Senato, Renato Schifani, seconda carica dello Stato, super partes, anch’egli garante della libertà e dei diritti-doveri di tutti i cittadini (e non solo del povero papi, amareggiato dalle sue stesse ingrate creature) afferma, con astio e la faccia paonazza e imperlata di sudore: “Mi auguro che quindi sempre nel rispetto delle regole prevalga la sostanza rispetto alla forma quando la forma non è essenziale”. Si riferisce ovviamente all’eventuale esclusione dalla tenzone elettorale del PDL e di Renata Polverini a Roma e di Roberto Formigoni a Milano.
Intanto la faccia. Vi ricordate l’impietosa scena televisiva, ripetuta migliaia di volte, nella quale Arnaldo Forlani nell’aula di tribunale, all’epoca di mani pulite, giustificava il suo operato e parlava con la bava alla bocca? Credo sia stato quello il momento in cui, nel sentimento, è apparso chiaro a tutti, o quasi, l’enormità del danno provocato dalla politica dei corrotti e dei corruttori. Così, almeno a me, la faccia spiritata dell’attuale presidente dei senatori, mentre dichiarava quanto riportato sopra, mi ha dato la stessa sensazione: siamo alla frutta, allo sbando, senza decoro.
Ma lasciamo le impressioni e il sentimento per tornare alle parole pronunciate. Schifani si augura che la sostanza prevalga sulla forma, che il buon senso domini le regole. Di per sé sarebbe un auspicio condivisibile se si trattasse di regolare un rapporto privato o tra privati, una cazzatiella, ma qui parliamo di regole che ci siamo democraticamente dati per il convivere civile e per garantire a tutti i sessantacinquemilioni di italiani, (belli e brutti, ricchi e poveri, utilizzatori finali e vergini, potenti e deboli) la stessa possibilità di essere presenti, di affermarsi e di pesare nella società.
Se fosse accettato il desiderio del presidente del Senato, dovremmo usare lo stesso criterio anche per la recente sentenza riguardante David Mills il cui reato è stato prescritto (forma) pur essendo stato ritenuto colpevole (sostanza): Mills e il suo corruttore dovrebbero cioè, se buttiamo a mare le regole, essere messi in galera (come sarebbe moralmente giusto, ma le regole sono le regole).
Oppure, dovrebbero essere riammesse alla competizione elettorale tutte le liste ritenute formalmente non valide (una valanga) e si dovrebbe in qualche modo fare giustizia per quelle liste che in elezioni precedenti sono state cassate per vizi di forma. Un vero caos.
Certo è che un presidente del Senato che, per primo, non crede alla legge (votata dal parlamento) e alle regole da questa scaturite, al solo scopo di salvare dal disastro politico e dal grottesco il suo potente padrone e presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, non è degno di sedere sul secondo scranno della repubblica per incompatibilità con la democrazia.
Purtroppo non c’è nulla da godere, questi disgraziati, ormai chiaramente in sfacelo, come dimostra il goffo e drammatico incidente della mancata consegna delle liste a Roma e dei “pasticci ciellini” milanesi, si sono posti un ultimo compito: se deve succedere, muoia Sansone (rappresentato, in questo caso, dal cialtrone imparruccato) con tutti i filistei.
Ovviamente se muore Sansone (morte metaforica, politica) la cosa non mi dispiace affatto ma non voglio essere tra i filistei: come potrei, altrimenti, festeggiare l’avvenimento?


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martedì 2 marzo 2010

GLI INVISIBILI DEL PRIMO MARZO 2010

In sessanta città italiane gli invisibili sono diventati visibilissimi. Cortei e feste, slogan e volantini, canti e striscioni e su tutti il colore giallo scelto per identificarsi. Molta gente degli invisibili: neri, meticci, gialli; africani, asiatici, mediorientali, latinoamericani; cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, induisti, taoisti, scintoisti, atei, gnostici; poveri e meno poveri, barboni, zingari. Anche tanti italiani.
Tutti con una sola certezza in testa: l’uomo, chiunque sia, è degno di rispetto, è degno di libertà, è degno di parola, è degno di starti accanto, è degno di lavorare. È uguale a te e tu non puoi renderlo invisibile, per nessun motivo.
L’onda gialla del primo marzo ha lanciato un pacato, composto ma fermo monito ai forcaioli di professione, ai leghisti per egoismo e interesse, ai sedicenti popolo della libertà e ai loro alleati cattofasciorazzisti e formigoniani: ci siamo anche noi e anche noi contribuiamo al benessere della nazione con la forza delle nostre braccia e della nostra testa; vogliamo stare in Italia e sentirci a casa nostra.
Mi sembra una bella sfida di civiltà che richiede una chiara risposta di civiltà. Mettiamoci all’opera.

Vi avevo a suo tempo consigliato, con un post dal titolo “L’IDEA DI DEMOCRAZIA” (che potete rileggere qui), di tener d’occhio il sito dell’associazione PanePaceLavoro e non ho sbagliato: ha aderito all’iniziativa del “Primo marzo 2010 – 24 ore senza di noi” e ha diffuso un volantino che, mi pare, centri la questione. Ve lo propongo.

L'ETERNO SELVAGGIO
Aderiamo all’iniziativa "Primo marzo 2010 – Una giornata senza di noi"

Rosarno, Coccaglio (il Bianco Natale), Milano, Montichiari (si vorrebbe negare la residenza non solo ai clandestini ma anche a chi ha contratti a tempo determinato) e chissà quanti altri luoghi coperti da mille complicità, sono una denuncia all’intera classe politica e a tutti i cittadini italiani.
Vogliono creare tra noi l’immagine di un cattivo selvaggio, una specie di nuovo barbaro che sta invadendo e intossicando l’Occidente innocente e disarmato.
E’ il pretesto per stigmatizzare i più poveri: coloro che fuggono dalla loro terra di miseria, dalla guerra, lo straniero, l’appartenente a una minoranza etnica o religiosa.
Nella nostra società, necessariamente, le diverse identità si incontrano. Nelle scuole, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle case dove vivono anziani o bambini, nei campi, nelle imprese di ogni tipo, perfino negli ospedali assillati dalla mancanza di organici.
Il multiculturalismo, per non diventare ingiustizia e discriminazione razziale deve essere possibilità di dialogo a tutti i livelli e in tutte le condizioni.
Esiste un legame sotterraneo tra criminalità, Stati, poteri politici e grandi capitali. Nuove mafie e potenti lobbies internazionali, accanto a politici senza scrupoli né coscienza del loro compito, manovrano borse, riciclano denaro, commerciano armi e nuovi schiavi. Si tratta di organizzazioni criminali che usano l’ufficialità legalizzata del mercato e un sistema legislativo, anche locale, lontano dal Bene Comune.
Ogni circostanza della vita umana (il lavoro, la religione, i costumi, la salute..) sono buone per dividere gli uomini, distruggerli nell’identità, impedirne il dialogo e la comprensione reciproca, ucciderli nella difesa di tale pervicace ingiustizia.
Pane Pace Lavoro denuncia, anche in questa circostanza elettorale, il diffondersi colpevole di tale inciviltà, condanna quanti la difendono e se ne fanno paladini ed esprime l’impegno civile, con chi vorrà condividerlo, a far sì che l’incontro tra gli uomini sia possibilità e non negazione, speranza e non disperazione, servizievolità e non oppressione.
Partecipa anche tu, esprimi e rompi il silenzio, fatti portatore nel luogo di lavoro, nelle scuole, nelle università, nei quartieri e nelle parrocchie, di iniziative positive di unità tra le persone, valorizzando e sostenendo, come una ricchezza, le diversità.




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lunedì 1 marzo 2010

DILETTANTI ALLO SBARAGLIO PRESENTATI DAL BERLUSKA FURIOSO

Proprio così, il Popolo Della Libertà (PDL), partito di governo (meglio, di regime) ha “bucato” la presentazione della lista provinciale di Roma alle regionali del Lazio. È un adempimento semplice, regolato da una legge chiara che ne stabilisce modalità e tempi. Sarebbe bastato regolare il proprio orologio sui tempi della legge e sul fuso orario italiano: le ore 12.00 per la legge e per l’Italia sono le ore 12.00 e non le 12.45.
Di fronte all’istanza presentata dal PDL, la Corte d’Appello di Roma (che siano anche loro degli sporchi comunisti?) ha dichiarato il non luogo a procedere e quindi chi è fuori è fuori e chi è dentro è dentro.
Anche per il capo di stato Giorgio Napolitano, chiamato impropriamente e temerariamente a risolvere un problema il cui appianamento comporterebbe un reato poiché la legge è uguale per tutti, le ore 12.00 sono le ore 12.00.
A poco servono le giustificazioni dei due funzionari addetti alla consegna delle liste e del coro urlante della candidata del centrodestra per il Lazio, Renata Polverini e dei suoi accoliti, giustificazioni che ingarbugliano sempre più la lingua di chi le esprime fino a farle diventare farsa: “sono andato a mangiare un panino”, “sono andato a fare pipì”, “mi hanno impedito di consegnare” oppure “è colpa della burocrazia”. Roba da asilo infantile anzi, da asilo nido. Datevi un contegno, si tratta di "fuoco amico".
E questi sono coloro che ci governano: grotteschi e stupidi, oltre che dilettanti. Mediaset, per la verità, aveva già previsto tutto con la trasmissione allora di Corrado Mantoni oggi condotta da Gerry Scotti: La Corrida, dilettanti allo sbaraglio.
Questo è quanto ho letto sulla carta stampata e ho ascoltato in televisione. Permettetemi qualche considerazione, in libertà, in disordine, a “botta calda”, senza pretesa di suggerire una soluzione a una situazione anomala, com’è anomala ormai tutta la politica italiana.
I funzionari del più grande partito italiano, e partito di governo, bucano un adempimento che persino i bambini avrebbero potuto portare a termine; cosa può significare questo? Che il PDL è un partito di coccio, che si regge su una struttura inadeguata e, forse, inesistente e che, al di là della testa e delle tasche di Silvio Berlusconi, non c’è nulla.
O, forse, al posto del partito, nel PDL, ci sono vari partiti quali l’ex Forza Italia e l’ex Alleanza Nazionale che nel momento della spartizione dei posti e quindi del potere ci dimostrano, ma questo già lo sapevamo, che non sono uniti, che non sono un vero partito, che il PDL è un partito di facciata, è solo un cartello elettorale. La mancata consegna della lista indicherebbe una guerra all’ultimo sangue tra fazioni: si è combattuto fino all’ultimo secondo anzi, oltre l’ultimo secondo. Persino una nullità politica, e senza esercito proprio, come Gianfranco Rotondi, è sbottato dicendo che “non è colpa dei dirigenti locali, ma è la dimostrazione dell’incapacità complessiva del PDL” e se lo dice lui, che è il ministro per l’attuazione del programma di governo, dobbiamo credergli.
Chissà, forse la leadership dell’unto del signore si è sgretolata per troppo sesso e troppi terremoti (il papiminchia è furioso e ne ha motivo) e assistiamo al lento, fin troppo lento, sfaldamento della statua equestre di terra cotta.
Quanto accaduto, potrebbe essere, invece, solo spocchia e disprezzo della legge, tout court, semplicemente, come ci ha abituati il loro capo, tale Silvio, che del disprezzo della legge ne ha fatto la sua filosofia di vita, il suo strumento di guadagno, la sua droga.
Se debbo essere sincero, due sentimenti contrastanti mi frullano per la testa: il primo è di godimento e di grande ilarità perché ciò che emerge non è un governo forte ma un governo tenuto assieme con il filo spinato dell’interesse di un approfittatore prezzolato; il secondo è l’amarezza per la mia e nostra incapacità di dare il ben servito a questo letamaio: siamo di coccio anche noi?



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