martedì 11 maggio 2010

FUORI DALLA RETORICA – I 150 ANNI DI UNITA’ D’ITALIA (1)

Non voglio, oggi, parlare di questo governo che non governa e che fa solo i propri affari.
Non voglio parlare dell’appropriazione indebita di meriti governativi a riguardo dell’intesa raggiunta in Europa a seguito della crisi greca; non diamo retta agli sproloqui dei nostri governanti, basta chiedersi come mai, per chiudere la questione, il presidente Usa, Barack Obama, ha telefonato al presidente francese Nicolas Sarkozy e alla cancelliera tedesca Angela Merkel, ignorando il grande leader italiano Silvio Berlusconi.
Non voglio nemmeno parlare di Claudio Scajola che giura e spergiura, poveretto, di non sapere di aver ricevuto un piccolo presente di 900.000 euro per comprare casa e pretende che noi gli crediamo.
Non voglio parlare di Guido Bertolaso, iperattivo in tutto, negli affari come nei massaggi, che si accomuna, l’imbecille, a Bill Clinton, con un nome di donna, Monica.
E non voglio parlare del sommo vate e pio-uomo Sandro Bondi che si fa compatire, come suo solito, piagnucolando contro la partecipazione dell’opera di Sabina Guzzanti al festival di Cannes e declinando in un primo tempo l’invito a presenziare all’evento internazionale per accettarlo, poi, vista la reazione del mondo politico e culturale non solo italiano, con una meschina, ma a lui adeguata, giustificazione.
Lo schifo aumenta e stiamo per rimanerne soffocati.
Voglio invece iniziare a parlare, in libertà, delle manifestazioni per i 150° anniversario dell’unità d’Italia che culmineranno il 17 marzo 2011 e che vedono Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, già in frenetica attività prima in Liguria, a Quarto, e ora in Sicilia, a Marsala sulle orme di Garibaldi.
Occorre una premessa: l’unità d’Italia è un fatto che ora c’è e che va rispettato e difeso contro ogni tentativo di smembramento o secessione, ma ciò che manca è la storia vera che ha portato all’unificazione del paese sotto i miserabili colori dei Savoia. La storia dell’unità d’Italia che noi studiamo, è una storia confezionata dalla massoneria e dalla borghesia, entrambe carnefici coscienti e immorali dell’identità e della vita delle popolazioni del sud.
Un libro, pubblicato di recente, prova una ricostruzione storica che fa accapponare la pelle. Il saggio è dello scrittore e giornalista Pino Aprile e s’intitola “TERRONI. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali”. Ve ne propongo un brano del primo capitolo. Nei prossimi post avrò occasione di approfondire l’argomento, come mio piccolo contributo alla verità contro la retorica dell’unificazione.



   Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
   E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.
   Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).
   Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.
   E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile.
   Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire». E Garibaldi parlò di «cose da cloaca».
   Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantanamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.
   Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.
   Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.
   Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.
   Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.
   Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.
   E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
   Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.
   Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
   Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).
   E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
   Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
   Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como...


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