giovedì 20 maggio 2010

ALTRO CHE FASCISMO: È BERLUSCONISMO

Non è difficile trovare delle similitudini. Certo, i metodi sono differenti ma gli effetti sono i medesimi, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, come ci insegnava, alle scuole medie cinquant’anni fa, l’insegnante (spesso acida e zitella, allora si diceva così) di matematica.
Non c’è più la necessità di zittire, con una pugnalata, i Giacomo Matteotti; il parlamentare assassinato dai fascisti era un vero oppositore a Benito Mussolini mentre, oggi, non riusciamo a individuare in parlamento, e nella politica in genere, una personalità che si opponga veramente al novello duce Silvio Berlusconi. Però, e qui si evidenzia a ben guardare l’analogia, se oggi non c’è un assassinio politico, abbiamo, per esempio, la carneficina perpetrata dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz di Genova durante il G8, nel luglio del 2001 con l’allora ministro dell’interno Claudio Scajola (buon sangue non mente) che impartisce alla polizia l’ordine di sparare e l’attuale presidente della camera il “democraticoGianfranco Fini che, casualmente, nelle stesse ore dell’irruzione nella scuola, si trovava nei locali della questura di Genova. I giudici della terza sezione della Corte d’Appello del Tribunale di Genova, la sentenza è di questi giorni, condannano 25 persone (compresi i più alti gradi della polizia) complessivamente a quasi un secolo di carcere: riconoscono quindi la brutalità criminale e prefabbricata, voluta dal regime berlusconiano per mano dell’allora ministro Scajola, allo scopo di chiudere la bocca al dissenso. Oggi, come allora, la violenza di regime ha i suoi difensori, roba da non credere; infatti, il sottosegretario all’Interno ed ex(?)fascista, Alfredo Mantovano afferma, con una nota ufficiale, che i poliziotti condannati dalla Corte d’Appello per i pestaggi al G8 di Genova alla scuola Diaz “resteranno al loro posto, che non si limitano a occupare, svolgendo il loro ruolo con grande responsabilità e dedizione, rispetto al quale ci può essere solo gratitudine da parte delle istituzioni”. Non bastando questo, interviene il capo stesso di Mantovano, il ministro dell’Interno e leghista Roberto Maroni che in conferenza stampa dichiara “Sottoscrivo al cento per cento l’opinione ufficiale espressa dal Viminale nella persona del sottosegretario Mantovano”.
In volgare vuol dire che il potere esecutivo se ne infischia del potere giudiziario e lo dichiara pubblicamente con arroganza e senza tema di smentita. Come in qualunque regime totalitario.
Sempre per non farci mancare qualche analogia con il regime fascista, scopriamo che non c’è più la necessità di emanare leggi razziali, come avvenuto dal 1938 in poi fino alla caduta del fascismo: oggi, tramite le televisioni berlusconiane e quelle pubbliche (che sempre berlusconiane sono) e la dottrina leghista e l’assenza di una vera opposizione, queste leggi non hanno bisogno di essere promulgate perché sono già state iniettate, come un veleno, nel cervello e nel sangue degli italiani. Ricordiamo Rosarno.
Da ultimo, per questo post, la Commissione Giustizia del Senato ha dato il via libera alle norme del ddl sulle intercettazioni che, se approvato definitivamente dal parlamento, produrrà almeno due effetti drammatici: la paralisi della giustizia e il bavaglio alla stampa e quindi a una delle libertà fondamentali. Eccone un accenno (liberamente tratto da un articolo di Fulvio Milone su La Stampa di Torino), tanto sintetico quanto drammatico per la democrazia e, quindi, per la nostra civile convivenza.
PER I GIUDICI:
- le intercettazioni sono possibili solo in presenza di gravi indizi di reato e se assolutamente indispensabili alle indagini (i pubblici ministeri dovranno già avere elementi concreti che provino la responsabilità di chi finisce sotto controllo);
- l’intercettazione sarà possibile solo con l’autorizzazione del Tribunale collegiale (per ottenere l’ok all’intercettazione non basterà più il pronunciamento del gip, ma occorrerà il parere di tre giudici riuniti, un ulteriore passaggio che rallenterà le indagini);
- l’autorizzazione alle Camere va chiesta anche se il politico parla sull’utenza di terzi (quando si ascolta la voce di un parlamentare durante la conversazione di un indagato, ogni atto deve essere secretato e custodito in archivio. Per proseguire nell’ascolto ci vuole l’ok delle Camere);
- impossibile intercettare un sacerdote senza avvertire l’autorità ecclesiale (se un pm intercetta o indaga un uomo di chiesa deve avvertire immediatamente il Vaticano).
PER LA STAMPA:
- black-out sulle indagini. E’ vietato dare notizie su qualsiasi atto anche non segreto fino alla fine dell’udienza preliminare (l’effetto del divieto è evidente: fino al rinvio a giudizio, cioè al processo, sarà impossibile per gli organi di informazione mettere il lettore al corrente delle inchieste giudiziarie fino alla loro conclusione, tanto meno rendere conto delle intercettazioni, pena il carcere e ammende salatissime. Non si potrà scrivere su casi giudiziari scottanti come quelli che coinvolgono politici e pubblici funzionari disonesti;
- via le tv dal tribunale. Niente riprese durante i processi senza il consenso di tutte le parti Vietate anche le immagini dell’aula (il cittadino non potrà seguire in tv le fasi del dibattimento. In altri termini, il cittadino non verrà informato);
- la norma «D’Addario». Sono vietate registrazioni e riprese senza l’autorizzazione preventiva dell’interessato (Il riferimento al nome della escort che ha registrato gli imbarazzanti colloqui con il presidente del Consiglio, finiti sulle pagine dei giornali, è eloquente);
- il provvedimento «salva-Iene». Non è perseguibile il giornalista autore di registrazioni o riprese video all’insaputa dell’interessato (grazie ad un emendamento dell’opposizione, i giornalisti sono stati «salvati» dai rigori della «norma D’Addario». Per loro cade il divieto di «scippare» interviste e immagini. L’eccezione è finalizzata a garantire ai professionisti il diritto all’informazione sancito dall’articolo 21 della Costituzione).

Forse nemmeno il fascismo era arrivato a tanto: là dove non poté Mussolini, poté Berlusconi.



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